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Leggere è rock



Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me.
Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore.
Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”
(Francesco Petrarca)

Come restare indifferenti di fronte agli ultimi dati ISTAT sulla lettura dei libri in Italia (relativi all’anno 2016), pubblicati alla fine dello scorso anno. Numeri interessanti ed inquietanti. Diminuiscono i lettori, passati dal 42,0% della popolazione di 6 anni e più del 2015 al 40,5% nel 2016. Si tratta di circa 23 milioni di persone che dichiarano di aver letto almeno un libro nei 12 mesi precedenti l’intervista per motivi non strettamente scolastici o professionali. Ancora una volta, la popolazione femminile mostra una maggiore propensione alla lettura già a partire dai 6 anni di età: complessivamente il 47,1% delle donne, contro il 33,5% dei uomini, ha letto almeno un libro nel corso dell’anno. Rispetto agli precedenti un’ulteriore conferma: leggono di più i giovani tra gli 11 e i 14 anni (51,1%) rispetto a tutte le altre classi di età. 


La diffusione dei lettori risente in misura significativa del livello di istruzione: legge il 73,6% dei laureati ma solo il 48,9% fra chi ha conseguito al più un diploma superiore. Nessuna novità circa i divari territoriali che persistono: legge meno di una persona su tre nelle regioni del Sud (27,5%) mentre in quelle del Nord-est si raggiunge la percentuale più elevata (48,7%). Ancora una volta il fattore della familiarità è determinante nel favorire l’abitudine alla lettura: legge libri il 66,9% dei ragazzi tra i 6 e i 18 anni con entrambi i genitori lettori, contro il 30,8% tra i figli di genitori che non leggono libri. L’ISTAT ci segnala anche l’opinione degli editori, secondo i quali i principali fattori che determinano la modesta propensione alla lettura in Italia sono il basso livello culturale della popolazione (39,7% delle risposte) e la mancanza di efficaci politiche scolastiche di educazione alla lettura (37,7%). Oltre a ciò, bisogna anche considerare che dal Rapporto AIE 2017  è emerso che il 9,1% delle famiglie non possiede neanche un libro e il 64% non ha più di 100 libri. Inoltre solamente il 13,7% degli italiani ha letto 12 o più libri in un anno. In definitiva, dati sconfortanti, soprattutto se messi a confronto con gli altri paesi europei.
Come ricordato dagli editori, in queste vicissitudini la scuola solitamente sale sul banco degli imputati. Umberto Galimberti, in un suo recentissimo volume, ha ricordato che nel 1976 il linguista Tullio De Mauro aveva fatto una ricerca per vedere quante parole conosceva un ginnasiale: il risultato fu circa 1.600. Ripetuto il sondaggio venti anni dopo, il risultato fu che i ginnasiali del 1996 conoscevano dalle 600 alle 700 parole. Oggi – continua Galimberti – “io penso che se la cavino con 300 parole, se non di meno”. Non è questione di poco conto, “perché, come ha evidenziato Heidegger, riusciamo a pensare limitatamente alle parole di cui disponiamo, perché non riusciamo ad avere pensieri a cui non corrisponde una parola. Le parole non sono strumenti per esprimere il pensiero, al contrario sono condizioni per poter pensare”.


Come provvedere? Negli anni tante sono state le soluzioni proposte. Tutte fanno capo alla scuola, specialmente in tempi di “latitanza” delle famiglie. Tante volte abbiamo ascoltato il classico leitmotiv: la scuola può avere un ruolo attivo nell’educare i più giovani alla lettura, magari anche aiutandoli ad appassionarsi ad essa. Attenzione, tuttavia, a non cadere in qualche equivoco o in considerazioni fuori dalla realtà. Intanto, diciamo subito che far appassionare alla lettura non è facile. Certamente aiuta avere un insegnante appassionato che a sua volta sa mostrare questa passione. Detto ciò siamo certi che corrisponda al vero l’assunto - trito e ritrito – secondo il quale nessuna passione può nascere da un’imposizione e che la lettura nella scuola in molti casi viene proposta come un compito o un qualcosa che deve essere fatto per poter ottenere buoni voti o risultati? Intanto, obblighiamo (o imponiamo, come si preferisce) agli allievi la lettura di almeno due libri l’anno (a prescindere dal genere). Al primo anno delle superiori l’insegnante di italiano mi “impose” la lettura del romanzo di Silone Vino e Pane, che mi apparve noioso. Oggi posso dire di aver letto tutti i romanzi del grande scrittore abruzzese.
Gli adolescenti sono consapevoli del fatto che “se vogliamo conoscere il senso dell’esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell’angolo più oscuro del capitolo, c’è una frase scritta apposta per noi” (Pietro Citati)? Poco prima di morire Umberto Eco ebbe a dire: “chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria. Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito … perché la lettura è un’immortalità all’indietro”. Queste considerazioni, talvolta, i ragazzi le fanno proprie, le comprendono adeguatamente soltanto con il tempo. Intanto, facciamoli leggere. Capirai domani, ci veniva spesso ripetuto quando eravamo giovani.
E, infine, contestiamo coloro che stancamente ripetono: «Mi piacerebbe, ma non ho nemmeno un minuto». Gli impegni familiari e professionali influiscono notevolmente sull’andamento delle nostre giornate. E poi il tempo riservato ai social network o alle chat su WhatsApp, riducono ulteriormente il nostro tempo a dispozione. Tantomeno per leggere un libro. «Chi vuole trovare il tempo per leggere ci riesce, e lo dimostrano anche i dati internazionali» spiega Giovanni Solimine, docente alla Sapienza di Roma e autore di l’Italia che legge (Laterza). «Di solito chi ama i libri è anche una persona che va al cinema e a teatro, che usa il computer in modo creativo e intelligente, che fa sport. Chi non legge ha la sensazione di avere molti impegni. In realtà, subisce il tempo libero, passandolo davanti alla tv o attaccato allo smartphone. La vera differenza sta proprio qui: tra chi ha uno stile di vita attivo e chi no». Come rimediare? «Cambiando atteggiamento» dice Solimine. Una mezz’ora in meno sui social è una mezz’ora in più per leggere.

Antonio Salvati

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