Ultime news

Gli ebrei e le parole


Chiunque abbia avuto frequentazione con il mondo ebraico ha intuito che esiste una fondamentale relazione tra gli ebrei e le parole. La continuità ebraica - potremmo dire l'unicità ebraica - non dipende tanto da alcuni luoghi essenziali, monumenti, personalità eroiche o rituali, quanto piuttosto dalle parole scritte e da un confronto che si è perpetuato tra le generazioni. E’ la tesi suggestiva e abbastanza vicino al vero degli Oz, Amos (recentemente scomparso) e Fania, padre e figlia, scrittore e storica, contenuta nel volume Gli ebrei e le parole: Alle radici dell'identità ebraica.


Il credo e la narrazione dell’ebraismo – spiegano gli autori - sono riusciti a sopravvivere malgrado numerosi e cruenti attentati alla vita e al culto. Al di là del tempo gli ebrei hanno sviluppato una testuale continuità singolare e specifica, attraverso i libri della tradizione orale e scritta: Mishnah, Talmud, Torah e Bibbia. Essi rappresentano il motore nascosto - robusto e tenace – che ha mantenuto gli ebrei fermamente tali. Così convincente da coltivare i propri giovani nel ghetto e nello shtetl, nella mellah (il quartiere ebraico delle città marocchine) o nella “via dei giudei”, per quanto poveri e disgraziati fossero. Gli ebrei nel corso dei secoli hanno frequentemente migrato, si sono spostati, sono fuggiti, hanno arrancato, ma sempre con i libri sulle spalle. Lontano da Gerusalemme, senza più altare e candelabro, restavano solo i libri. E così, correndo a gambe levate per scampare a un massacro o a un pogrom, fuggendo da una casa o una sinagoga in fiamme, tutto ciò che ci si portava dietro erano i figli e i libri. I libri e i figli. «L’enunciazione religiosa più pregnante su questo tema è che la Torah veglia sugli ebrei fintanto che loro custodiscono e osservano la Torah. Una versione alternativa dice che è lo Shabbat a preservarli, fintanto che loro rispettano lo Shabbat». Nessun altro popolo dell’era premoderna, come quello ebraico, è stato così sistematicamente esposto ai testi scritti entro le mura delle proprie case, in un così ampio spettro sociale. Leggere a casa era una pratica alquanto rara e insolita nell’Europa medioevale, per via della povertà e dell’analfabetismo. Probabilmente era un poco più frequente nel mondo islamico, ma non certo come abitudine familiare.
Gli autori sono non credenti, tuttavia – sottolineano fortemente - restano ebrei anche leggendo: «non è ovviamente una pura questione di scelta. Molti altri fattori ci hanno reso quello che siamo: i genitori, il sionismo, la modernità, Hitler, le abitudini, la fortuna. Ma se esiste una qualche concatenazione fra Abramo e noi, essa è fatta di parole. Al pari dei nostri avi, siamo “testualizzati”». La laicità per gli ebrei israeliani è qualcosa di più, di diverso rispetto ai loro colleghi occidentali. Per gli ebrei laici la Bibbia ebraica è una straordinaria creazione umana che amano e interrogano. In tal senso, la Bibbia è intesa oltre il suo status di libro sacro. Indubbiamente dalla Bibbia sono scaturiti innumerevoli altri testi. Se l’antico Israele non ci ha lasciato palazzi e monumenti strabilianti, certamente l’esito letterario è tanto prodigioso quanto monumentale.
Solitamente gli ebrei si pongono molte domande. L’ebraico biblico non ha punti interrogativi, tuttavia il Libro dei Libri è pieno di domande, spiegano gli autori: «non le abbiamo contate tutte, ma a giudicare dalla prevalenza di “cosa” e “come” e “chi” e “perché”, non è affatto escluso che sia il più inquisitivo di tutti i testi sacri. Ben poche di queste domande sono retoriche e servono a proclamare la gloria di Dio. Il quale è per parte sua un grande interrogatore. E se le risposte ad alcune sue domande possono sembrare ovvie, in realtà non lo sono affatto. I lettori moderni possono ancora cimentarsi con gli enigmi profondamente inquietanti di fronte ai quali ci pongono». L’ingiunzione biblica a “raccontare ai propri figli” – il verbo è qui haghid, che indica un pronunciamento ad alta voce – venne posta per iscritto, e lo scritto divenne canonico. Ne è risultata una catena testuale, anche a proposito del precetto stesso: «da Esodo 13,8 al Talmud di Gerusalemme e quello Babilonese, e via a Maimonide ma anche, e in modo più pregnante, alla popolare Haggadah. Questo piccolo libro che fa parte della liturgia pasquale ha una storia che trova probabilmente origine all’epoca del Secondo Tempio, e la sua più antica versione scritta risale al filosofo Saadyah Gaon, vissuto in Egitto nel X secolo. Autentico libro da convivio, è un insieme di antiche fonti scritte e di cantate attinte alla tradizione orale del Medioevo. Haggadah significa “racconto”, ed è un richiamo diretto all’imperativo biblico di raccontare ai propri figli». Di tutte, la domanda più promettente è quella che interroga sul passaggio del testimone da una generazione all’altra. «Se tuo figlio domani ti chiederà: che cosa sono le testimonianze, le leggi e gli statuti che il Signore nostro Dio vi ordinò?» (Deuteronomio 6,20). Questa è la chiave, la pietra filosofale dell’ebraismo. È il modulo pedagogico della memoria, che risale alla culla nazionale, cioè il libro biblico dell’Esodo. Per favore, figlio mio, domandami, l'imperativo universale dell’ebraismo. «Nessuna antica civiltà», ricordano gli Oz citando Mordecai Kaplan, «offre un parallelo comparabile all’intensità con cui l’ebraismo ribadisce la necessità di insegnare ai giovani e inculcare in loro le tradizioni e i costumi del proprio popolo.” Questa generalizzazione è corretta nei confronti delle altre civiltà antiche? Non abbiamo la presunzione di sapere né di giudicare. Ma sappiamo che i bambini ebrei, e non soltanto i ricchi o privilegiati, erano messi in contatto con la parola scritta già in tenerissima età».
Queste ed altre considerazioni sono contenute nel volume suggestivo degli Oz che narrano al lettore anche figure di donne bibliche, personalità forti, insieme al carattere di familiarità, intimità e spirito di contraddizione che costituisce la comunità, la centralità dell'individuo nel formare la collettività. Inoltre, la natura di mescolanza e apertura delle storie e dei testi a tutto ciò che è altro. Baruch Spinoza, Rabbi Aqiva, Anna e Betsabea, Heinrich Heine e Giobbe appartengono all'essere umano e ogni anima è un mondo intero, una risorsa comune per quella che è chiamata sorveglianza dell'anima. Per ognuno di noi è stato creato il mondo, scrivono gli autori, ribadendo la responsabilità verso gli altri e questo vale per ciascuna vita, dotata o meno di fede, perché chi ha raccontato è sicuramente esistito.

Antonio Salvati

Nessun commento