Vincere l'AIDS in Africa non è un sogno
Si chiama DREAM il programma realizzato dalla Comunità di Sant’Egidio col quale migliaia di malati hanno accesso alla terapia contro il flagello che sta decimando quel continente
I have a dream, è la famosa frase di Martin Luther King. Io ho un sogno. Unire neri e bianchi. Un “Dream” non meno “impossibile” si è assegnata la Comunità di Sant’Egidio: un’Africa libera dalle malattie. In primis dall’Aids. “Ci siamo opposti, abbiamo avuto una rivolta morale – e con noi altri – di fronte a questa catastrofe umanitaria, a un continente condannato”, ha detto Leonardo Palombi, medico e docente di Epidemiologia e Sanità pubblica all’Università di Roma Tor Vergata, ma qui presente in qualità di direttore scientifico del programma Dream, acronimo di Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition. “Addirittura abbiamo voluto provare a trasformare la piaga Aids in un mezzo di sviluppo”.
Audaci e tenaci quelli della Comunità di Sant’Egidio lo sono sempre stati. Come lo stesso Palombi ricorda succintamente, impiegarono due anni e mezzo di pazienti trattative con i contendenti nel Mozambico dilaniato dai massacri per portarli finalmente a siglare la pace il 4 ottobre 1982. “Erano morti in quella lunga guerra un milione di persone. E oggi un milione e 200mila, quasi lo stesso numero, sono contagiati dall’Aids”.
Inaccettabile per la coscienza di questo gruppo di uomini, il cui fondatore Andrea Riccardi tra l’altro è appena stato chiamato al governo come ministro alla Cooperazione. “Intorno all’Aids c’era il muro dell’impossibilità: assenza di vaccino, costi, distanze, incapacità degli africani di avere il senso del tempo che li rende incapaci di aderire a una terapia complessa come quella con antiretrovirali”.
Oltretutto, continua Leonardo Palombi, le agenzie internazionali puntavano soltanto sulla prevenzione dell’Aids, invece Dream, all’opera dal 2002, è stato tra i sostenitori della terapia come intervento più valido anche per la prevenzione riducendo o azzerando di fatto le modalità di trasmissione del virus.
Oggi la Comunità di Sant’Egidio ha in cura 150 mila pazienti Hiv positivi in 10 paesi africani ed ha portato avanti inedite indagini scientifiche. “Per esempio, abbiamo appurato che anche le mamme in trattamento con farmaci antiretrovirali possono tranquillamente allattare”.
L’utopia di poter condurre l’epidemia da Hiv-Aids a divenire un’opportunità di sviluppo si è rivelata realizzabile: impiegando cure d’eccellenza, mezzi diagnostici modernissimi, costruendo infrastrutture e logistica, Dream ha creato una spinta per lo sviluppo dei sistemi sanitari africani e diffuso molta formazione. “Le persone in cura da noi ricevono, ognuno nella propria lingua, spiegazioni e opuscoli sull’igiene e sulla salute, che poi comunicano in famiglia e nel loro villaggio”.
Adesso, per tener fede a quel Dream che si sono dati, quelli di Sant’Egidio puntano a lottare in Africa anche contro i tumori, chiedendo per questo, dal palco dell’aula magna della Bocconi, l’assistenza dell’oncologo Umberto Veronesi.
Però: come riuscire? Leonardo Palombi rivela la “ricetta” della Comunità: “Tenere insieme cuore e ragione per fare”.
I have a dream, è la famosa frase di Martin Luther King. Io ho un sogno. Unire neri e bianchi. Un “Dream” non meno “impossibile” si è assegnata la Comunità di Sant’Egidio: un’Africa libera dalle malattie. In primis dall’Aids. “Ci siamo opposti, abbiamo avuto una rivolta morale – e con noi altri – di fronte a questa catastrofe umanitaria, a un continente condannato”, ha detto Leonardo Palombi, medico e docente di Epidemiologia e Sanità pubblica all’Università di Roma Tor Vergata, ma qui presente in qualità di direttore scientifico del programma Dream, acronimo di Drug Resource Enhancement against Aids and Malnutrition. “Addirittura abbiamo voluto provare a trasformare la piaga Aids in un mezzo di sviluppo”.
Audaci e tenaci quelli della Comunità di Sant’Egidio lo sono sempre stati. Come lo stesso Palombi ricorda succintamente, impiegarono due anni e mezzo di pazienti trattative con i contendenti nel Mozambico dilaniato dai massacri per portarli finalmente a siglare la pace il 4 ottobre 1982. “Erano morti in quella lunga guerra un milione di persone. E oggi un milione e 200mila, quasi lo stesso numero, sono contagiati dall’Aids”.
Inaccettabile per la coscienza di questo gruppo di uomini, il cui fondatore Andrea Riccardi tra l’altro è appena stato chiamato al governo come ministro alla Cooperazione. “Intorno all’Aids c’era il muro dell’impossibilità: assenza di vaccino, costi, distanze, incapacità degli africani di avere il senso del tempo che li rende incapaci di aderire a una terapia complessa come quella con antiretrovirali”.
Oltretutto, continua Leonardo Palombi, le agenzie internazionali puntavano soltanto sulla prevenzione dell’Aids, invece Dream, all’opera dal 2002, è stato tra i sostenitori della terapia come intervento più valido anche per la prevenzione riducendo o azzerando di fatto le modalità di trasmissione del virus.
Oggi la Comunità di Sant’Egidio ha in cura 150 mila pazienti Hiv positivi in 10 paesi africani ed ha portato avanti inedite indagini scientifiche. “Per esempio, abbiamo appurato che anche le mamme in trattamento con farmaci antiretrovirali possono tranquillamente allattare”.
L’utopia di poter condurre l’epidemia da Hiv-Aids a divenire un’opportunità di sviluppo si è rivelata realizzabile: impiegando cure d’eccellenza, mezzi diagnostici modernissimi, costruendo infrastrutture e logistica, Dream ha creato una spinta per lo sviluppo dei sistemi sanitari africani e diffuso molta formazione. “Le persone in cura da noi ricevono, ognuno nella propria lingua, spiegazioni e opuscoli sull’igiene e sulla salute, che poi comunicano in famiglia e nel loro villaggio”.
Adesso, per tener fede a quel Dream che si sono dati, quelli di Sant’Egidio puntano a lottare in Africa anche contro i tumori, chiedendo per questo, dal palco dell’aula magna della Bocconi, l’assistenza dell’oncologo Umberto Veronesi.
Però: come riuscire? Leonardo Palombi rivela la “ricetta” della Comunità: “Tenere insieme cuore e ragione per fare”.