Papa Francesco e una nuova teologia ...
Venerdì scorso papa Francesco ha partecipato a Napoli all’ultima sessione del convegno “La teologia dopo ‘Veritatis Gaudium’ nel contesto del Mediterraneo”, promosso dalla Pontificia Facoltà teologica dell’Italia meridionale, e ne ha svolto le conclusioni.
Lo ha fatto - al di là del tema generale, apparentemente così teorico, da specialisti - con un intervento ricco di spunti concreti sulla nuova frontiera del Mare Nostrum e del mondo globale. Come quando ha ricordato “tutti i naufraghi della storia”, o ha invitato “le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di chiusura identitaria”. Ovvero, ancora, quando ha insistito sul fatto che “con i musulmani siamo chiamati a costruire il futuro delle nostre società; a considerarli partner per costruire una convivenza pacifica, anche quando si verificano episodi sconvolgenti ad opera di gruppi fanatici nemici del dialogo”. E’ in tale prospettiva che ha voluto citare il colloquio con l’arcivescovo di Colombo, capitale di uno Sri Lanka ferito da molteplici attentati lo stesso giorno di Pasqua: “Il cardinale mi ha detto questo: ‘Mi sono accorto che un gruppo di gente, cristiani, voleva andare al quartiere dei musulmani per ammazzarli. Ho invitato l’Imam con me, in macchina, e insieme siamo andati là per convincere i cristiani che noi siamo amici, che quelli sono estremisti’. Questo è un atteggiamento di vicinanza e di dialogo”, ha esemplificato Bergoglio. Del resto, ha continuato, la sfida alla convivenza investe l’intero pianeta, a partire dal Mediterraneo: “Non è possibile leggere realisticamente tale spazio se non in dialogo e come un ponte - storico, geografico, umano - tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di uno spazio in cui l’assenza di pace ha prodotto molteplici squilibri regionali, mondiali, e la cui pacificazione, attraverso la pratica del dialogo, potrebbe invece contribuire grandemente ad avviare processi di riconciliazione e di pace. Giorgio La Pira ci direbbe che si tratta di […] costruire su tutto il bacino mediterraneo una ‘grande tenda di pace’, dove possano convivere nel rispetto reciproco i diversi figli del comune padre Abramo”.
E’ chiaro che la maggior parte dei commentatori si sono soffermati su questi passaggi del discorso. Ma si vorrebbe qui attirare l’attenzione sulla profonda novità teologica dell’intervento. E’ come se Francesco avesse voluto riflettere in profondità sul dibattito teologico contemporaneo e suggerire di muoversi verso una nuova teologia, più pastorale, più misericordiosa, più vicina al cuore dell’uomo e della donna contemporanei, più rispondente al lungo processo di ricezione di un Concilio pastorale, appunto - e non dogmatico -. quale è stato l’ultimo, il Vaticano II.
Il pontefice ha scelto Napoli “per rilanciare e dare forma e contenuto pratici alla riforma teologica che quasi un anno e mezzo fa ha promulgato con la pubblicazione della costituzione apostolica destinata alle università e facoltà teologiche ecclesiastiche” (S. Falasca). Ha scelto Napoli per dire che c’è bisogno di “teologi - uomini e donne, presbiteri, laici e religiosi - che, in un profondo radicamento storico ed ecclesiale e, al tempo stesso, aperti alle inesauribili novità dello Spirito, sappiano sfuggire alle logiche autoreferenziali, e, di fatto, accecanti che spesso esistono nelle istituzioni accademiche […], che siano uomini e donne di compassione, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo ‘mare comune’”.
E’ per questo che la teologia è chiamata ad essere diversa.
La nuova teologia auspicata da Bergoglio sarà “una teologia dell’accoglienza e del dialogo”: “Al servizio del cammino di una Chiesa che sempre più mette al centro l’evangelizzazione. Non l’apologetica, non i manuali, evangelizzare. Al centro l’evangelizzazione, che non vuol dire proselitismo. […] La vera ‘sindrome di Babele’ è quella di non ascoltare quello che l’altro dice e di credere che io so quello che l’altro pensa e che l’altro dirà”.
Sara “una teologia dell’accoglienza e dell’ascolto”, profondamente inculturata in un Mediterraneo che è “il mare del meticciato - se noi non capiamo il meticciato, non capiremo mai il Mediterraneo - un mare geograficamente chiuso rispetto agli oceani, ma culturalmente sempre aperto all’incontro, al dialogo”: “Vi è bisogno di narrazioni rinnovate e condivise che - a partire dall’ascolto delle radici e del presente - parlino al cuore delle persone, narrazioni in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza”. Del resto “non si perde niente con il dialogare. Sempre si guadagna. Nel monologo tutti perdiamo, tutti”.
Sarà “una teologia interdisciplinare” e “in rete”: “Senza comunione e senza compassione, costantemente alimentate dalla preghiera, la teologia non solo perde l’anima, ma perde l’intelligenza e la capacità di interpretare cristianamente la realtà […]. “Si può e si deve lavorare nella direzione di una ‘Pentecoste teologica’, che permetta alle donne e agli uomini del nostro tempo di ascoltare ‘nella propria lingua’ una riflessione cristiana che risponda alla loro ricerca di senso e di vita piena”.
Francesco De Palma
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