Pasolini in Medio Oriente, a 40 anni dalla scomparsa
Pier Paolo Pasolini, di cui il prossimo novembre ricorrono i 40 anni dalla morte, visitò il Medio Oriente (Siria, Giordania, Israele) nel giugno del 1963, mentre cercava dei luoghi convincenti dove ambientare il Vangelo secondo Matteo. Il film – che uscirà nel 1964 e che compie il suo 50° anniversario – verrà poi girato in Italia, vista l’insoddisfazione del regista per i sopralluoghi compiuti (che saranno invece raccolti in un documentario sotto il titolo Sopralluoghi in Palestina).
Pasolini "torna" in quella regione da oggi 9 ottobre, in occasione del trentesimo Festival internazionale del cinema che si tiene ad Haifa, in Israele. Sarà infatti ricordato con una iniziativa, intitolata Tribute to Pasolini, all'interno della quale sarà possibile vedere My Pasolini, una rassegna di immagini dello scrittore e critico Gideon Bachmann.
Bachmann è un uomo poliedrico, che ha conosciuto molti dei protagonisti del cinema mondiale, lavorando al loro fianco con un originale approccio: memorabili le immagini del suo film Ciao Federico, costruito – quando il back stage era ancora poco praticato – dietro le quinte del set del Satyricon di Federico Fellini; oppure l'album fotografico 8 ½. Il viaggio di Fellini. Od anche – ahimè difficili da reperire – i suoi documentari sul cinema indipendente americano, con un giovanissimo Jonas Mekas di fronte alla macchina da presa.
«Incontrai Pasolini – racconta Bachmann – quando presentò il suo primo film, Accattone, al Festival di Venezia, nel 1961; durante la conferenza stampa, dopo la proiezione, mi impegnai in una discussione ferocemente critica sui suoi metodi di realizzazione del film. Convenimmo che lo avrei seguito a Roma, dopo il Festival: avrei potuto registrare le nostre discussioni per poi trasmetterle nel mio programma radiofonico a New York.
Così facemmo, e diventammo amici. Iniziai anche a fotografarlo, prima sul tetto del brutto condominio di via Carini a Roma, dove viveva allora, e poi ancora e ancora e ancora. La sua fama e il suo lavoro come regista crescevano in volume e significato, e lo seguii su molti dei suoi set ed in alcuni dei luoghi del mondo dove gli piaceva andare. Le foto che espongo sono più la rassegna di un'amicizia che il reportage su una personalità pubblica».
Alcune delle conversazioni di Bachmann con Pasolini – assieme alle foto di Deborah Beer (allora compagna di vita e di lavoro di Bachmann) sul set di Salò – sono state composte in un documentario, qualche anno fa: Pasolini prossimo nostro, anch'esso proiettato ad Haifa. Un titolo che esprime bene la profonda e disperata comprensione della crisi delle società occidentali che Pasolini – intellettuale “tragico” a tutto campo – aveva allora (8 lustri or sono) intuito con chiarezza quasi di veggente.
Paolo Sassi
Pasolini "torna" in quella regione da oggi 9 ottobre, in occasione del trentesimo Festival internazionale del cinema che si tiene ad Haifa, in Israele. Sarà infatti ricordato con una iniziativa, intitolata Tribute to Pasolini, all'interno della quale sarà possibile vedere My Pasolini, una rassegna di immagini dello scrittore e critico Gideon Bachmann.
Bachmann è un uomo poliedrico, che ha conosciuto molti dei protagonisti del cinema mondiale, lavorando al loro fianco con un originale approccio: memorabili le immagini del suo film Ciao Federico, costruito – quando il back stage era ancora poco praticato – dietro le quinte del set del Satyricon di Federico Fellini; oppure l'album fotografico 8 ½. Il viaggio di Fellini. Od anche – ahimè difficili da reperire – i suoi documentari sul cinema indipendente americano, con un giovanissimo Jonas Mekas di fronte alla macchina da presa.
«Incontrai Pasolini – racconta Bachmann – quando presentò il suo primo film, Accattone, al Festival di Venezia, nel 1961; durante la conferenza stampa, dopo la proiezione, mi impegnai in una discussione ferocemente critica sui suoi metodi di realizzazione del film. Convenimmo che lo avrei seguito a Roma, dopo il Festival: avrei potuto registrare le nostre discussioni per poi trasmetterle nel mio programma radiofonico a New York.
Così facemmo, e diventammo amici. Iniziai anche a fotografarlo, prima sul tetto del brutto condominio di via Carini a Roma, dove viveva allora, e poi ancora e ancora e ancora. La sua fama e il suo lavoro come regista crescevano in volume e significato, e lo seguii su molti dei suoi set ed in alcuni dei luoghi del mondo dove gli piaceva andare. Le foto che espongo sono più la rassegna di un'amicizia che il reportage su una personalità pubblica».
Alcune delle conversazioni di Bachmann con Pasolini – assieme alle foto di Deborah Beer (allora compagna di vita e di lavoro di Bachmann) sul set di Salò – sono state composte in un documentario, qualche anno fa: Pasolini prossimo nostro, anch'esso proiettato ad Haifa. Un titolo che esprime bene la profonda e disperata comprensione della crisi delle società occidentali che Pasolini – intellettuale “tragico” a tutto campo – aveva allora (8 lustri or sono) intuito con chiarezza quasi di veggente.
Paolo Sassi
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