Gli occhiali di Pasolini
Sono trascorsi ormai 40 anni dalla tragica scomparsa di Pier Paolo Pasolini, avvenuta il 2 novembre 1975 ad Ostia, nei pressi dell'idroscalo, e si affollano in questi giorni le occasioni di riflessione e gli eventi dedicati alla memoria ed alla drammatica figura di questo intellettuale che ha profondamente segnato la vita del nostro Paese.
La cosa che più sorprende, rileggendo i tanti interventi che Pasolini fece fino al giorno della sua morte, i suoi libri, le sue poesie, ma anche i suoi film, è infatti come - accanto all'inevitabile obsolescenza della cronaca - molte delle sue osservazioni fossero intuizioni quasi di veggente, seppure lette con il registro della poesia o della critica. È questa, per esempio, la voce che emerge dal bel libro Polemica Politica Potere, che raccoglie le interviste fatte da Gideon Bachmann a Pasolini nell'arco di quasi 15 anni, tanto quanto è durata l'amicizia e la frequentazione tra i due.
Bachmann è un intellettuale poliedrico che arriva in Italia nel 1961 e si occupa di cinema. Intervista e registra Pasolini nelle più svariate occasioni: lo fotografa (con Deborah Beer, sua compagna, sarà sul set di Salò), lo scandaglia. Bachmann - nato in Europa ma poliglotta e cittadino del mondo - viene allora dagli Stati Uniti e prova ad "interpretare" Pasolini, che ha da poco approcciato il cinema - dopo la letteratura - come metalinguaggio per la sua arte.
Quelli tra di loro sono dialoghi frizzanti, aspri e divertenti, talvolta contorti, mai banali: si parla di cinema, ma è solo un pretesto. Pasolini riflette a tutto tondo, sulla politica e sulla religione, sul mondo e sulla storia, sul costume e sulla letteratura, sulle sorti del nostro Paese. Si strugge per la distruzione antropologica dell'umanità dei suoi (e dei nostri) tempi, omologata e consumista, involgarita, paganizzante e senza prospettive.
Bachmann ci aveva già aiutato - è sua la ricca sezione audio di Pasolini prossimo nostro - ad ascoltare a lungo la voce nervosa di Pasolini; ce lo restituisce ora con la pagina scritta dell'intervista, accompagnata da alcune belle fotografie, sue e di Deborah Beer.
Pasolini sarà il poeta dei periferici e della periferia, in una città - Roma - che amava disperatamente e che avrebbe ancora bisogno - come il resto del Paese - dei suoi occhiali.
Paolo Sassi
Gli occhiali di Pasolini, Roma |
Così, mi ha piuttosto incuriosito - ne dava cenno con un po' di anticipo sull'anniversario il quotidiano la Repubblica lo scorso 13 settembre - che il Museo criminologico di Roma abbia deciso di esporre per la prima volta, per soli tre giorni, i reperti rinvenuti sul luogo dell'omicidio.
Documenti, libri, indumenti, un paio di occhiali...
Eh sì, un paio di occhiali dalla montatura scura e dalla foggia improbabile, rigati.
Forse, di quegli occhiali abbiamo ancora bisogno.
Bachmann e Pasolini, Roma, 1972 |
Bachmann è un intellettuale poliedrico che arriva in Italia nel 1961 e si occupa di cinema. Intervista e registra Pasolini nelle più svariate occasioni: lo fotografa (con Deborah Beer, sua compagna, sarà sul set di Salò), lo scandaglia. Bachmann - nato in Europa ma poliglotta e cittadino del mondo - viene allora dagli Stati Uniti e prova ad "interpretare" Pasolini, che ha da poco approcciato il cinema - dopo la letteratura - come metalinguaggio per la sua arte.
Quelli tra di loro sono dialoghi frizzanti, aspri e divertenti, talvolta contorti, mai banali: si parla di cinema, ma è solo un pretesto. Pasolini riflette a tutto tondo, sulla politica e sulla religione, sul mondo e sulla storia, sul costume e sulla letteratura, sulle sorti del nostro Paese. Si strugge per la distruzione antropologica dell'umanità dei suoi (e dei nostri) tempi, omologata e consumista, involgarita, paganizzante e senza prospettive.
Bachmann ci aveva già aiutato - è sua la ricca sezione audio di Pasolini prossimo nostro - ad ascoltare a lungo la voce nervosa di Pasolini; ce lo restituisce ora con la pagina scritta dell'intervista, accompagnata da alcune belle fotografie, sue e di Deborah Beer.
Pasolini sarà il poeta dei periferici e della periferia, in una città - Roma - che amava disperatamente e che avrebbe ancora bisogno - come il resto del Paese - dei suoi occhiali.
Paolo Sassi
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