Idee, parole, fatti, per un’accoglienza e un’integrazione possibili
E’ tempo di chiusure in Europa. Di paure, di muri.
Parti rilevanti delle opinioni pubbliche europee guardano con un misto di preoccupazione e di egoismo alle ricadute della “guerra mondiale a pezzi” in corso. In molti scelgono per chi vuole risolvere il problema in maniera semplicistica, sbarrando il portone.
Si ascoltano anche, tuttavia, e forse più frequentemente che in passato, parole più meditate, più razionali, che fanno guardare all’accoglienza come a una soluzione insieme più umana e più vantaggiosa, anche per il Vecchio Continente.
Ieri Luigi Manconi, sul “Corriere della Sera”, richiamava l’esperienza dei corridoi umanitari “promossi da alcuni soggetti non pubblici (Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese e Comunità di Sant’Egidio)” e sottolineava come sarebbe possibile “un programma di re-insediamento, gestito dall’Unione Europea, di concerto con le organizzazioni umanitarie internazionali, [in virtù del quale] le procedure di individuazione dei beneficiari di protezione umanitaria avvenissero nei luoghi di partenza verso l’Europa e fossero attuate attraverso le Delegazioni diplomatiche degli Stati membri”.
Del resto, avvertiva Grandi, responsabile UNHCR, sempre sul “Corriere”, in un’intervista di qualche giorno fa, “in Italia non è in corso un’invasione. E se si riescono a trovare gli strumenti europei per rispondere all’attuale flusso di profughi non ci sono motivi di apprensione”. Anzi, insisteva, “l’apprensione è generata [proprio] dall’immagine di disorganizzazione e di mancanza di solidarietà tra gli Stati europei. Se i flussi fossero gestiti diversamente, si eviterebbe una paura crescente, […] si dimostrerebbe che il problema è gestibile”.
Gestire il problema. Come qualcosa di fattibile. Come qualcosa che nasca non da un astratto “buonismo”, bensì da un semplice buon senso.
Lo sottolineava la scrittrice Dacia Maraini, intervistata dall’“Unità” sul viaggio di papa Francesco a Lesbo, una decina di giorni fa: “Il Papa sembra l’unica persona che rappresenta il buon senso e anche una lungimiranza. Sembra l’unica persona, tra i Grandi della Terra, che si accorge che esiste un futuro, che non tutto si affronta e tanto meno si risolve innalzando muri o mandando gli eserciti alle frontiere. Bergoglio non è un idealista, è un realista”.
Accogliere è la sfida dell’oggi e del domani. E’ una strada quanto mai concreta e lungimirante che possiamo iniziare a percorrere.
Ne va del futuro umano, ma anche economico e produttivo, dell’Europa. Perché, avverte oggi su “Avvenire” l’economista Leonardo Becchetti, “pezzi molto importanti del nostro apparato produttivo hanno resistito grazie all’importazione di manodopera straniera. Interi paesi e campagne non sono morti grazie al ripopolamento di artigiani e pastori stranieri. Pensiamo spesso che morale ed economia viaggino su binari diversi. Che la morale ci dice che una persona che fugge dalla morte e dalla disperazione va aiutata ed accolta, ma purtroppo le leggi dell’economia sono altre. In realtà non è affatto così. Dono, fraternità, cooperazione, fiducia, e accettazione intelligente (e attiva) di un livello di disordine creativo superiore a quello che vorremmo (assieme a una buona macroeconomia) sono in realtà il segreto della prosperità umana ed economica”.
Francesco De Palma
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