I 4000 numeri della "Civiltà Cattolica": una rivista di frontiera, una fede che si fa cultura e discernimento
Quante riviste, quanti quindicinali al mondo possono vantarsi di essere giunti al numero 4000? E’ uno dei primati della “Civiltà Cattolica”, la pubblicazione della Compagnia di Gesù fondata nel 1850 - è a oggi la più antica in lingua italiana -, da decenni interprete autorevole di una visione, fedele portavoce dei successori di Pietro.
Ieri a Roma, nelle splendide sale della sua sede a due passi da Villa Borghese, si è svolta una tavola rotonda di celebrazione e di riflessione su questa “success story”, con l’intenzione di guardare, sì, alla lunga storia che si ha dietro le spalle, ma soprattutto al presente e al futuro di quaderni che, come ha sottolineato nella propria introduzione p. Antonio Spadaro, l’attuale direttore, vogliono contrastare la “tentazione di serrare le fila e opporre al caos globale percepito la risposta di un cattolicesimo identitario: non una ‘civiltà cattolica’, insomma, ma una bolla chiusa in se stessa”.
La senatrice Emma Fattorini, ordinario di storia contemporanea, svolgendo, per sua stessa ammissione, “la parte del diavolo”, ha ripercorso diacronicamente l’itinerario dei fascicoli, passati da una posizione retriva e distante dalla società a una sempre più convinta funzione ancillare per conto di una Chiesa dialogica, vicina “[al]le gioie e [al]le speranze, [al]le tristezze e [al]le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto” (GS 1). “Fil rouge” di tutto questo un’attenzione al discernimento, sfida vissuta in ogni numero, cifra del rapporto complesso tra Chiesa e mondo, tra la rivista e la contemporaneità.
Andrea Riccardi, anche lui autorevole studioso della contemporaneità, religiosa e non, e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha letto la lunga, longeva, vicenda della rivista come la fedeltà a una missione militante, ma non elitaria, all’impegno a costruire una cultura pensata, e però popolare. La “Civiltà Cattolica”, ha sottolineato Riccardi, pur pubblicazione vicina a un potere quale quello papale, si è sempre posta l’obiettivo di comunicare oltre le frontiere, mettendo a confronto religione e cultura: un’operazione di grande spessore e valore, tanto più significativa in quanto oggi cogliamo i pericoli della de-culturalizzazione del religioso, in tal caso prigioniero dell’emozione, e quindi facile preda dei fondamentalismi. I numeri della rivista hanno sempre teso a fare opinione, vivendo un’intransigenza che non è integralismo, fungendo come voce del papa quando questi ha vissuto momenti di isolamento, non solo nell’Ottocento, ma anche più recentemente (il caso di Pio XI nei confronti dei fascismi, quello di Giovanni Paolo II davanti alla guerra in Iraq). Ancor oggi, in questo tempo di emozioni e di emotività, abbiamo bisogno di qualcuno che faccia cultura, per sostenere la ricezione per nulla scontata del magistero di papa Francesco.
Giuliano Amato, ex Presidente del Consiglio e giudice della Corte costituzionale, infine, ha concluso la tavola rotonda con uno sguardo meno storico, cercando di cogliere quelle che in questo tempo “babelico”, in cui le categorie consuete sono tutte saltate, possono essere le frontiere comuni degli uomini, quelle da impegnarsi reciprocamente, credenti e non, ad osservare: per stare sulla frontiera con la coscienza che ci sono nuove colonne d’Ercole da non oltrepassare mai.
Francesco De Palma
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