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Il 68 cattolico


Il fenomeno della contestazione studentesca, scoppiata alla fine degli anni Sessanta, che mise in campo per la prima volta una mobilitazione dei giovani su scala planetaria, è stato spesso oggetto di studi, analisi e ricordi più o meno simpatetici, alimentando una memorialistica e una vasta letteratura che ha fatto del Sessantotto un vero e proprio mito, positivo o negativo che sia. Sono trascorsi cinquant’anni, sufficienti per stabilire quel distacco o quella serenità necessaria a una comprensione non filtrata dal vissuto personale. Unanimemente si riconosce che il 68 è stato il punto di arrivo di un fenomeno iniziato – almeno in Italia - con il boom economico ed ha amplificato le istanze di cambiamento emerse fin dagli anni Cinquanta. Istanze rafforzatesi — perlomeno in campo cattolico — in corrispondenza del Concilio Vaticano II. Mentre alcuni storici si sono soffermati sulla “rivoluzione politica”, più o meno fallita, altri hanno insistito sulla "rivoluzione culturale" o "rivoluzione sociale", per evidenziare il legame che si andava sviluppando con l'avvento della società dei consumi, accompagnati da importanti cambiamenti a livello dei costumi, in una società in profonda trasformazione. 


La storiografia non ha potuto fare a meno di porre in giusto rilievo l’apporto che la gioventù cattolica europea ha dato alla nascita del movimento studentesco. Tanti giovani impegnati nell'associazionismo cattolico sono stati protagonisti di un processo di cambiamento,  apparentemente imprevedibile, dispiegatosi lungo il corso degli anni Sessanta. Com’è noto, alcuni che successivamente percorreranno la via terrorismo provenivano dalle file cattoliche. Roberto Beretta, giornalista di Avvenire, in un libro di qualche anno fa,  Cantavamo Dio è morto. Il ’68 dei cattolici, che il ’68 in Italia sia nato cattolico è un fatto facile da constatare: la prima università occupata dagli studenti fu la Cattolica di Milano, già il 17 novembre 1967; i primi leader (Mario Capanna compreso) erano cattolici praticanti, anzi anche “raccomandati” dai loro Vescovi e leader delle associazioni ecclesiali nelle rispettive diocesi. Nel mondo cattolico, grazie al Concilio Vaticano II da poco concluso, si respirava un’atmosfera largamente favorevole al rinnovamento e in generale al cambiamento. Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nata esattamente cinquant’anni fa, ha giustamente osservato che il ‘68 è stato una stagione, un clima, un sogno, la manifestazione della forza vitale dei giovani e delle persone, magari fino allora rassegnate e nascoste dietro gli altri, silenziose di fronte a gente importante, ossequiose di fronte alle istituzioni. Riccardi ebbe l’intuizione di non farsi travolgere dal clima totalizzante della politica. Occorreva innanzitutto vivere e comunicare il Vangelo, a partire dai più poveri. Spesso il movimento del 68 cadde nell’errore di credere di cambiare il mondo a partire dalle strutture. Come si poteva cambiare il mondo nelle sue strutture senza cambiare il cuore dell’uomo? Bisognava parlare al cuore dell’uomo e della donna. Il Vangelo e la Parola di Dio solamente potevano parlare a essi. Proprio nel 1968, in un libro su quei fatti, dal titolo Vangelo e rivoluzione, il teologo ortodosso francese Clément concludeva: “le uniche rivoluzioni creatrici nella storia sono nate dalla trasformazione dei cuori”. Il Vangelo è rivoluzionario? – si chiedeva Clément. Sì, rispondeva, ma in questo modo: “La posizione evangelica è dura: implica una violenza non contro gli altri, ma contro se stessi, una violenza così profonda contro l’io egoista tanto che ‘per salvarsi occorre perdersi’”.



Su di un muro alla Sorbona a Parigi apparve uno degli slogan del movimento, assai famoso: “Siate realisti, domandate l’impossibile!”. Fu un’esaltazione fatta anche di rabbia per le ingiustizie, la guerra, la miseria del Sud, gli emarginati nella città. La protesta poteva cambiare il mondo? Fu una breve e intensa stagione di utopie in cui si collocarono i primi passi della Comunità di sant’Egidio e di altri movimenti laicali, numerose comunità di accoglienza, dalla Comunità di Capodarco al Ceis di don Mario Picchi, ed anche la comunità Giovanni XXIII di don Oreste Benzi. La contestazione fu internazionale: il maggio francese, gli Stati Uniti (le esperienze controcorrente degli hippies), ma anche nel blocco sovietico, dove nella Cecoslovacchia comunista si tentò il socialismo dal volto umano (represso dai carri armati nell’agosto 1968 e un giovane universitario cecoslovacco si bruciò come protesta). Il mondo stava cambiando, nonostante la guerra fredda. Forte era la protesta contro la guerra americana in Viet Nam. Le colonie erano diventate indipendenti e sembravano rappresentare un Terzo Mondo, rispetto al capitalismo e al comunismo. La lotta contro la segregazione razziale degli afro-americani cresceva con una forza non violenta fino all’assassinio di Martin Luther King nell’aprile 1968. Nell’ottobre 1967 era stato ucciso in Bolivia Che Guevara, leader cubano, che si era speso nella lotta rivoluzionaria: fu un’icona della rivoluzione. E qui grandi discussioni se fosse necessaria la violenza per cambiare il mondo.
Dopo il ’68, quel movimento ha preso tante strade, per lo più politiche. Tanti “buoni propositi” e una grande quantità di energie giovanili vennero così convogliate verso un’utopia che nel suo fondo non era cattiva né sbagliata dal punto di vista anche evangelico (“cambiare il mondo”). Il nichilismo dominante, più delle utopie marxiste o rivoluzionarie ormai tramontate, ha negli ultimi decenni favorito lo scivolamento nello scetticismo e nel cinismo della società dei consumi, che tende a trascinare tutti nell’illusione della sazietà del benessere, facendoci credere che ogni tentativo di “cambiare il mondo” sia per ciò stesso utopistico, illusorio, sbagliato.
La Comunità di Sant’Egidio – come testimonia la sua storia - ha creduto che la rivolta contro l’impossibile s’incontrasse con la fede del Vangelo. Il Vangelo che parlava dei miracoli di Gesù, della vittoria sull’impossibile. Gesù disse al padre disperato per il figlio epilettico: “Tutto è possibile per chi crede” (Mc 9,23). Aggiungeva: “Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio” (ivi, 10,27). Questo è il carattere rivoluzionario – rivolta dello Spirito, direbbe Clément - del cristianesimo di Sant’Egidio. Papa Francesco in un incontro a Trastevere con la Comunità di Sant’Egidio ha parlato di rivoluzione: “aiutate a far crescere la compassione nel cuore della società – che è la vera rivoluzione, quella della compassione e della tenerezza –, a far crescere l’amicizia al posto dei fantasmi dell’inimicizia e dell’indifferenza”.

Antonio Salvati           

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