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L'idea di politica di Aldo Moro



Difficile raccontare – o meglio aggiungere – qualche cosa su Moro, dopo tante rievocazioni televisive e giornalistiche. Tanti libri sono stati scritti sulla sua vicenda umana e politica, sulla sua tragica fine. Tra i diversi libri usciti recentemente, mi è sembrato eccellente quello di Marco Damilano, Un atomo di verità (2018 Feltrinelli). Sicuramente Aldo Moro è stato tra coloro che hanno maggiormente influito a dare una guida incisiva e personale al cattolicesimo politico e all’idea stessa della Democrazia cristiana. La sua cultura, chiara fin dalla Costituente, è stata quella di un intellettuale, di un professore perfettamente convinto del ruolo che la Dc doveva svolgere insieme alle altre forze politiche: sostenitore di una visione di centrosinistra, ma soprattutto del carattere interlocutorio che deve avere chi gestisce il consenso.


A quarant’anni da quel 9 maggio 1978, la “notte della Repubblica”, la verità giudiziaria sul “caso Moro” è ancora ambigua e parziale. E giustamente Damilano afferma che “ancora non è stato possibile capire perché lo Stato non è riuscito a salvare il suo rappresentante più significativo da una banda di terroristi incolti e mal preparati”. Tuttavia, Damilano non è interessato a indicare una nuova verità giudiziaria, cercando le prove, gli indizi e i dettagli sugli esecutori materiali e i mandanti, come hanno fatto diverse Commissioni parlamentari. Giustamente Damilano sostiene la necessità di uscire dalla celebrazione sterile del quarantennale della morte di Aldo Moro, restituendo a ogni personaggio del passato la sua vita e la sua dignità, con tutti i tratti della personalità anche quelli negativi o contraddittori per strapparlo dalla dimensione della mera ricorrenza. Nel caso di Aldo Moro occorre strapparlo all’immagine del prigioniero dei 55 giorni. In tal senso, il volume è decisamente convincente perché tratteggia la persona Aldo Moro, nella sua complessità, nelle sue radici, nel suo straordinario e inesausto desiderio di conoscere e di comprendere il mondo, nella sua perseverante determinazione a non accettare mai la resa dell'intelligenza e della vita di fronte anche alle pulsioni più oscure. libro sembra un viaggio nell'inconscio dell'Italia. Perché questo paese fa così tanta fatica a fare i conti sul serio con la memoria di Aldo Moro? E’ vero siamo un Paese senza memoria, o dalla memoria lacerata. Questo vale anche per Aldo Moro, di cui ricordiamo a malapena la tragica fine ma non sappiamo più dire chi è stato. Pur insegnando in una scuola situata a poche centinaia di metri da via Fani, molti miei allievi ignorano chi sia stato Moro.
E’ opportuno ed utile, allora, far memoria della concezione della politica di Moro e consegnarla non solo a chi oggi si occupa di politica, ma anche ai giovani. Specialmente a quelli che vorrebbero accostarsi alla politica. Damilano rievoca efficacemente gli settanta – anche con ricordi autobiografici – in cui una sorta di pulsione di morte e di distruzione, di malefica miscela tra narcisismo e nichilismo, sembra aver afferrato l'Italia e alla quale Moro, che l'aveva intuita, si opponeva. In questo clima difficile, Damilano  rileva che «c’è l’unicità di un uomo politico che era arrivato al vertice senza perdere la certezza che la politica era troppo stretta per contenere tutto, che c’era qualcosa che andava “al di là della politica”. Per il giovane Moro, e per l’ultimo Moro in coerenza con la vocazione degli inizi, c’è qualcosa che va oltre la politica e lo Stato. Nessun apparato, nessuna istituzione può contenere totalmente la persona e la sua ansia di liberazione, “perché senza la politica manca all’uomo l’ambiente nel quale costruire il suo mondo, ma se la politica vuole essere tutta la vita, l’uomo è finito e la vita perde la sua chiarezza e ricchezza… Al di là della politica c’è un residuo immenso che rischiamo ancora di sprecare”. Quel qualcosa che gli fa scrivere, negli stessi anni, che “probabilmente, malgrado tutto, l’evoluzione storica non soddisferà le nostre ideali esigenze: la splendida promessa, che sembra contenuta nell’intrinseca forza e bellezza di quegli ideali, non sarà mantenuta. È un dolore che non si placa, se non un poco, quando sia confessato ad anime che sappiano capire, o cantato nell’arte, o quando la forza di una fede o la bellezza dissolvano quell’ansia e ridonino la pace. Forse il destino dell’uomo non è di realizzare pienamente la giustizia, ma di avere perpetuamente della giustizia fame e sete. Ma è sempre un grande destino».


Ha ragione Damilano: Moro era un politico che credeva nel potere della parola più che nei numeri. Credeva che l'intelligenza fosse più forte della forza. per questo capiva più di altri i cambiamenti, ne era attratto. Per questo vale la pena studiarlo, rileggerlo. In un famoso discorso pronunciato il 28 febbraio 1978 ai gruppi parlamentari della DC Moro disse: «Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma, cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà». Il tempo – osserva Damilano -, il tempo che ci è stato dato da vivere, che non può essere rallentato o accelerato, non può essere evitato, saltato. Si può soltanto viverlo, fino in fondo, con tutte le sue difficoltà.
Infine, un ricordo personale dell’autore. Una mattina il padre di Damilano condusse il figlio nella chiesa San francesco d’Assisi al Trionfale. Moro era inginocchiato, in preghiera. «Pregare per lui era lasciare spazio e ascolto alla sua coscienza, riconoscere un senso del limite per la sua azione di politico, sapere che l'orizzonte era più largo del presente in cui si sarebbe giocata la giornata che iniziava così».

Antonio Salvati

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