Ultime news

L’ESERCITO DEGLI HIKIKOMORI

L’uso dominante – potremmo dire la presenza onnipresente - delle nuove tecnologie come “estensione della sfera sociale” fa dei nostri figli, dei nostri allievi dei cosiddetti “nativi digitali” (dalla lingua inglese digital native), termine ormai entrato prepotentemente nel nostro linguaggio comune che sta ad indicare  persone che hanno vissuto fin dalla nascita in simbiosi con le nuove tecnologie, che a partire dal semplice computer si sono via via moltiplicate: ipod, smartphone, tablet…  E’ fuori dubbio che la familiarità dei bambini e degli adolescenti con una tale varietà di “schermi interattivi” ha plasmato il loro modo di apprendere, di conoscere e di comunicare.


A disposizione degli insegnanti esistono numerose ricerche sull’efficacia della multimedialità sull’apprendimento dimostrano evidenti effetti nei processi cognitivi di base. Molte sono anche le evidenze che mettono in guardia dal rischio di “interferenza” della tecnologia digitale con il connettoma e il suo sviluppo. E’ evidente che il digitale implica l’uso della rete ed essa conduce a scenari di ricerca talvolta assai diversi tra loro. Tuttavia, i maggiori esperti  convergono su un punto fermo: è essenziale conoscerne i rischi.
Pochi giorni fa gli Stati generali della scuola digitale, convocati a Bergamo dall’associazione Impara digitale, hanno riflettuto ed analizzato su come Internet, i social e i videogiochi stanno cambiando – per molti studiosi hanno già cambiato - la vita dei ragazzi. Alcuni dati forniti sono decisamente inaspettati e sicuramente preoccupanti, come l’aumento esponenziale dei casi di autismo, dovuti anche alle massiccia esposizione a campi magnetici e onde radio, come ha spiegato il pediatra Ernesto Burgio, membro dell’European cancer and environment research institute di Bruxelles e tra i massimi esperti a livello internazionale dei danni epigenetici e genetici indotti dall’inquinamento ambientale. Negli Stati Uniti, si è passati da 1 caso di autismo ogni 1.500 abitanti del 1980 a 1 ogni 68 di oggi, mentre in Gran Bretagna le diagnosi sono 1 ogni 59 abitanti.
Indietro non si torna – hanno ripetuto in tanti. E’ indispensabile riflettere, capire dove siamo arrivati, dove vogliamo andare, cosa possiamo fare. Senz’altro un uso frequente – aggiungerei compulsivo - della tecnologia ha favorito lo sviluppo di fenomeno ancora poco osservato in Italia: gli Hikikomori. Si tratta di ragazzi che si estraniano completamente dalla società per rinchiudersi in casa (o meglio, nella propria stanza), comunicando esclusivamente tramite i social o, più ancora, i videogiochi. Come riportato nei giorni scorsi dal quotidiano Avvenire, le ultime stime, diffuse dalla psicologa dell’Università di Padova, Daniela Lucangeli, presidente dell’Associazione per il Coordinamento nazionale degli insegnanti specializzati (Cnis), questi “eremiti sociali” sono 128mila soltanto in Italia, ma erano 100mila fino allo scorso maggio. Persone che vivono in totale dipendenza dalle tecnologie (con vere e proprie “crisi di astinenza”), una condizione al limite da cui nessuno può considerarsi immune, visto che, ha rivelato l’esperta tra lo stupore generale, in media ogni italiano digita e scorre il proprio smartphone almeno 2.600 volte al giorno, 2,70 volte al minuto, una volta ogni 20 secondi. Come, quindi, aiutare i ragazzi a utilizzare le tecnologie in modo che migliorino la loro vita, non la releghino nella loro stanza? Come persuaderli che questi strumenti sono un potenziamento, non una sostituzione dell’anima?


Domande che richiedono risposte articolate, non semplificate. Noi adulti dobbiamo non dimettere le nostre responsabilità e documentarsi per avere la capacità di svolgere un giusto discernimento. Intanto, con l’aiuto di Marco Crepaldi, tra i primi a occuparsi del fenomeno, possiamo uscire dal disorientamento e fissare le caratteristiche degli Hikikomori. Essi diventano tali perché non hanno più fiducia nel prossimo e non si riescono a sopportare la pressione sociale, il dover mantenere una certa immagine o un determinato status. Così – avverte Crepaldi “ci si rifugia prima in casa e poi, quando anche la pressione dei genitori non è più sopportabile, direttamente in camera da letto”. Gli Hikikomori sono in genere maschi perché su di loro la pressione sociale è maggiore. Si pensi – ricorda Crepaldi – “soltanto alle aspettative legate alla carriera, sia sociale che lavorativa. E poi perché, per i genitori, è più allarmante che un ragazzo non esca più di casa rispetto a una ragazza”. Tre sono i segnali – secondo Crepaldi - da considerare attentamente: “il primo è il rifiuto della scuola, perché a questa età, tra i 15 e i 25 anni, è la principale fonte di pressione. E non perché prendano brutti voti, ma proprio per ché non riescono a relazionarsi con i compagni e i professori. Il secondo segnale da cogliere è la preferenza per attività solitarie, come le chat. La terza è, appunto, l’inversione del rapporto sonno-veglia. Questi ragazzi vivono di notte per proteggersi dal mondo, che in quelle ore è inattivo e, quindi, per loro, meno pericoloso”. Purtroppo qando questi segnali si manifestano è già tardi. E, infine, una diagnosi specifica in Italia ancora non esiste. Si scambia frequentemente l’Hikikomori per un depresso, un asociale. Invece, è una persona che soffre e che, come chiunque del resto, ha bisogno di un approccio specifico da parte di chi conosce il problema.


Antonio Salvati

Nessun commento