Confindustria torna a fare politica attiva. Le aziende pubbliche possono accettarlo?
Confindustria ha avuto un ruolo politicamente attivo nella caduta del governo Letta. Due giorni fa, dopo la presentazione di qull’Impegno Italia che rappresentava il tentativo estremo di Enrico Letta di salvare il suo esecutivo, il presidente Giorgio Squinzi ha affermato pubblicamente: “non sono state date le risposte che ci aspettavamo”. Più chiaro di così non poteva essere.
È un fatto nuovo nella politica italiana. Per trovare qualcosa di simile, infatti, c’è bisogno di tornare molto indietro nel tempo, alla fine degli anni Cinquanta. Allora la rappresentanza degli industriali si schierò in modo esplicito. In quella fase le aziende a partecipazione statale stavano uscendo dalla Confindustria e poco dopo avrebbe preso forma la formula politica del (primo) centro-sinistra. Insieme a Confagricoltura e Confcommercio, gli industriali privati diedero vita a Confintesa, un soggetto con finalità eminentemente politiche, volto ad appoggiare i liberali e i democristiani contrari all’intervento dello Stato in economia.
L’iniziativa fu un mezzo fallimento. Non portò ai risultati auspicati e finì per ritorcersi contro Confindustria, rivelandone la debolezza nell’influenzare i risultati elettorali e soprattutto trasformandola in un organismo politicamente di parte. Per rinnovare il rapporto con la società italiana ci fu bisogno, diversi anni più tardi, della riforma delineata dal celebre Rapporto Pirelli nel 1970 e soprattutto dell’autorevole presidenza di Gianni Agnelli. Anche per questo si scelse di non prendere più posizioni esplicite in favore o contro i singoli partiti – fossero anche i comunisti di Berlinguer – preferendo piuttosto discutere nel merito le scelte di politica economica e industriale.
Tale scelta è stata mantenuta per molti anni, ma di recente è stata messa in discussione. Lo ha notato Francesco Verderami sul Corriere della Sera, sottolineando il ruolo di Confindustria nella caduta del governo Letta. Lo stesso era accaduto in occasione della caduta di Berlusconi e nel processo di logoramento di Mario Monti. Sembra quindi essersi delineata una nuova linea di condotta da parte di questo organismo di rappresentanza, dopo una cinquantina d’anni di lontananza dalle polemiche politiche più esplicite. È una cesura di rilievo, che porta con sé i rischi già sperimentati durante la Prima Repubblica. Rimane però un elemento che andrà chiarito urgentemente: è accettabile tutto questo dalle aziende pubbliche che oggi sono tornate a far parte di Confindustria?
Giovanna Micheli
È un fatto nuovo nella politica italiana. Per trovare qualcosa di simile, infatti, c’è bisogno di tornare molto indietro nel tempo, alla fine degli anni Cinquanta. Allora la rappresentanza degli industriali si schierò in modo esplicito. In quella fase le aziende a partecipazione statale stavano uscendo dalla Confindustria e poco dopo avrebbe preso forma la formula politica del (primo) centro-sinistra. Insieme a Confagricoltura e Confcommercio, gli industriali privati diedero vita a Confintesa, un soggetto con finalità eminentemente politiche, volto ad appoggiare i liberali e i democristiani contrari all’intervento dello Stato in economia.
L’iniziativa fu un mezzo fallimento. Non portò ai risultati auspicati e finì per ritorcersi contro Confindustria, rivelandone la debolezza nell’influenzare i risultati elettorali e soprattutto trasformandola in un organismo politicamente di parte. Per rinnovare il rapporto con la società italiana ci fu bisogno, diversi anni più tardi, della riforma delineata dal celebre Rapporto Pirelli nel 1970 e soprattutto dell’autorevole presidenza di Gianni Agnelli. Anche per questo si scelse di non prendere più posizioni esplicite in favore o contro i singoli partiti – fossero anche i comunisti di Berlinguer – preferendo piuttosto discutere nel merito le scelte di politica economica e industriale.
Tale scelta è stata mantenuta per molti anni, ma di recente è stata messa in discussione. Lo ha notato Francesco Verderami sul Corriere della Sera, sottolineando il ruolo di Confindustria nella caduta del governo Letta. Lo stesso era accaduto in occasione della caduta di Berlusconi e nel processo di logoramento di Mario Monti. Sembra quindi essersi delineata una nuova linea di condotta da parte di questo organismo di rappresentanza, dopo una cinquantina d’anni di lontananza dalle polemiche politiche più esplicite. È una cesura di rilievo, che porta con sé i rischi già sperimentati durante la Prima Repubblica. Rimane però un elemento che andrà chiarito urgentemente: è accettabile tutto questo dalle aziende pubbliche che oggi sono tornate a far parte di Confindustria?
Giovanna Micheli
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