"Passa dal corpo il cielo", una poesia della debolezza
E' stata da poco data alle stampe, per i tipi dell'editrice Gazebo, la seconda raccolta di poesie di Luca Giordano, "Passa dal corpo il cielo".
L'autore, che vive e lavora a Roma, è alla sua seconda pubblicazione, dopo il volume "L'intruso" (2011).
Nella nuova fatica di Giordano sono centrali tanto una personale esperienza di debolezza e di difficoltà - "La debolezza / l’ho incontrata. La trascino, veste / rigida, impaccio" -, quanto il suo
impegno nei laboratori d'arte sperimentale con persone disabili gestiti dalla Comunità di Sant'Egidio, come pure i tanti luoghi della cronaca e della storia in cui si sono manifestate l'emarginazione e la negazione della dignità dell'uomo.
La poesia di Giordano è densa, carica di un messaggio che preme nel verso e cerca il lettore, contestando i luoghi comuni sulla forza e sulla debolezza - bellissima la breve lirica "La forza è proteggere" -, sottolineando come "l’uomo imperfetto" che è dentro ciascuno di noi trovi una via di riscatto nella partecipazione all'altro, al mondo circostante, in una maturazione lungo le strade dell'umanità e della fede.
Dall’esperienza della debolezza nasce una riflessione che si fa controproposta, di vicinanza e di accompagnamento. La parola stessa è debolezza che si fa cura, è soffio che colora di senso, di prospettiva, che ci restituisce il vero volto di chi vive la sofferenza o l’emarginazione, come un volto segnato da una "bellezza / … / da nessuno [...] imprigionata".
E allora il "vecchio tutto rughe", l’"odore forte dei vestiti" di chi non ha casa, la simpatia contagiosa dei disabili, possono essere accostati alla presenza di Dio - "Dio era in te e tu ce l’hai portato / questo soffio divino", con un passaggio che fa pensare al Saba di "Città vecchia": "Io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà . [...] Sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore".
La poesia, per Giordano, è messaggio, come si vede chiaramente nella sezione "Degni di un nome". Le liriche dedicate a Nelson Mandela, a madre Teresa di Calcutta, a Floribert, giovane congolese di Sant'Egidio ucciso per aver detto no alla corruzione, ai bambini rom morti bruciati nella loro roulotte, sono altrettante celebrazioni/denunce di qualcosa che non può passare sotto silenzio.
Perché “ora il silenzio è colpa”. La poesia deve parlare, deve essere rottura del silenzio, epifania di un messaggio. Perciò "vibrano le parole / in quel silenzio".
La parola riveste un'importanza cruciale nelle liriche di Giordano. L'autore la prende davvero sul serio la parola, le parole. Ché esse sono la misura di ciò che è, ma anche di ciò che potrebbe essere. "La parola è Luce", chiosa Giordano.
Una luce che suggerisce confronti, che apre a nuove consapevolezze.
"Passa dal corpo il cielo / … / Sento, so che non è solo terreno". "Come argilla secca / s’apre una ferita / … / sorge come polla / un’acqua pulita, / desiderio di vita". "Solo / sono sasso che affonda / Insieme porto, / approdo per corpi naufraghi".
Sono solo tre esempi di come Giordano si muova sempre tra due elementi, in una cornice “binaria”, in una dicotomia che disegna l'esistenza al centro di due scenari. La parola di Luca è “binaria”. Include e disegna due diversi orizzonti. Quello del bene e del male, quello del già e del non ancora. Per dire che ciò che è terra, argilla secca, solitudine, non è solo questo; bensì pure promessa di cielo, acqua zampillante, relazionalità .
La poesia di Giordano si muove tra due poli, ma non per escludere, per scoraggiare, bensì per promettere, per orientare: l’alternativa “binaria” di cui si è detto non si distende come un 'aut … aut', né come un 'nec … nec', ma come un 'et … et', un ‘sia … sia”.
Sull’equatore della vita Luca Giordano trova l’equilibrio di un messaggio che è alleanza tra due poli apparentemente lontani, la capacità di disegnare una sintesi poetica che parte dalla debolezza ma già presuppone ed intravede il suo riscatto, che è sia compresione dell’oggi, sia coscienza di un cielo che è lì lì per aprirsi.
Francesco De Palma
L'autore, che vive e lavora a Roma, è alla sua seconda pubblicazione, dopo il volume "L'intruso" (2011).
Nella nuova fatica di Giordano sono centrali tanto una personale esperienza di debolezza e di difficoltà - "La debolezza / l’ho incontrata. La trascino, veste / rigida, impaccio" -, quanto il suo
impegno nei laboratori d'arte sperimentale con persone disabili gestiti dalla Comunità di Sant'Egidio, come pure i tanti luoghi della cronaca e della storia in cui si sono manifestate l'emarginazione e la negazione della dignità dell'uomo.
La poesia di Giordano è densa, carica di un messaggio che preme nel verso e cerca il lettore, contestando i luoghi comuni sulla forza e sulla debolezza - bellissima la breve lirica "La forza è proteggere" -, sottolineando come "l’uomo imperfetto" che è dentro ciascuno di noi trovi una via di riscatto nella partecipazione all'altro, al mondo circostante, in una maturazione lungo le strade dell'umanità e della fede.
Dall’esperienza della debolezza nasce una riflessione che si fa controproposta, di vicinanza e di accompagnamento. La parola stessa è debolezza che si fa cura, è soffio che colora di senso, di prospettiva, che ci restituisce il vero volto di chi vive la sofferenza o l’emarginazione, come un volto segnato da una "bellezza / … / da nessuno [...] imprigionata".
E allora il "vecchio tutto rughe", l’"odore forte dei vestiti" di chi non ha casa, la simpatia contagiosa dei disabili, possono essere accostati alla presenza di Dio - "Dio era in te e tu ce l’hai portato / questo soffio divino", con un passaggio che fa pensare al Saba di "Città vecchia": "Io ritrovo, passando, l’infinito nell’umiltà . [...] Sono tutte creature della vita e del dolore; s’agita in esse, come in me, il Signore".
La poesia, per Giordano, è messaggio, come si vede chiaramente nella sezione "Degni di un nome". Le liriche dedicate a Nelson Mandela, a madre Teresa di Calcutta, a Floribert, giovane congolese di Sant'Egidio ucciso per aver detto no alla corruzione, ai bambini rom morti bruciati nella loro roulotte, sono altrettante celebrazioni/denunce di qualcosa che non può passare sotto silenzio.
Perché “ora il silenzio è colpa”. La poesia deve parlare, deve essere rottura del silenzio, epifania di un messaggio. Perciò "vibrano le parole / in quel silenzio".
La parola riveste un'importanza cruciale nelle liriche di Giordano. L'autore la prende davvero sul serio la parola, le parole. Ché esse sono la misura di ciò che è, ma anche di ciò che potrebbe essere. "La parola è Luce", chiosa Giordano.
Una luce che suggerisce confronti, che apre a nuove consapevolezze.
"Passa dal corpo il cielo / … / Sento, so che non è solo terreno". "Come argilla secca / s’apre una ferita / … / sorge come polla / un’acqua pulita, / desiderio di vita". "Solo / sono sasso che affonda / Insieme porto, / approdo per corpi naufraghi".
Sono solo tre esempi di come Giordano si muova sempre tra due elementi, in una cornice “binaria”, in una dicotomia che disegna l'esistenza al centro di due scenari. La parola di Luca è “binaria”. Include e disegna due diversi orizzonti. Quello del bene e del male, quello del già e del non ancora. Per dire che ciò che è terra, argilla secca, solitudine, non è solo questo; bensì pure promessa di cielo, acqua zampillante, relazionalità .
La poesia di Giordano si muove tra due poli, ma non per escludere, per scoraggiare, bensì per promettere, per orientare: l’alternativa “binaria” di cui si è detto non si distende come un 'aut … aut', né come un 'nec … nec', ma come un 'et … et', un ‘sia … sia”.
Sull’equatore della vita Luca Giordano trova l’equilibrio di un messaggio che è alleanza tra due poli apparentemente lontani, la capacità di disegnare una sintesi poetica che parte dalla debolezza ma già presuppone ed intravede il suo riscatto, che è sia compresione dell’oggi, sia coscienza di un cielo che è lì lì per aprirsi.
Francesco De Palma
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