L’Europa, un sogno che custodisce un tesoro
E’ mentre ci avviciniamo all’appuntamento elettorale europeo che il Pew Research Center ha diffuso un rapporto che evidenzia da un lato la ripresa dell’idea di Europa nelle opinioni pubbliche tedesca, francese, spagnola, polacca, perfino britannica, dall’altra la crescente sfiducia nutrita dagli italiani nei confronti dell’Unione.
Il giudizio positivo sull’UE sarebbe passato in Italia dal 58 al 46% nell’arco di un anno. Il 77% del campione di italiani intervistato ritiene che le istituzioni europee non capiscano i bisogni dei cittadini degli stati membri, il 74% che il paese risulti indebolito dal processo d’integrazione europeo.
Non è solo questione di euro o di BCE; non è solo l’economia a modellare un tale atteggiamento negativo. Il tema dell’immigrazione alimenta i sentimenti antieuropei, l’Unione è accusata ora di indifferenza al nostro ruolo di avamposto sul Mediterraneo, ora di un buonismo sinonimo di scarsità di controlli. Con l’85% degli italiani intervistati contrari ai rom (50% il valore medio tra i maggiori paesi UE), il 63% ai musulmani (46% il valore medio), il 24% agli ebrei (18% il valore medio).
Che dire? Sono i risultati di un sondaggio, qualche migliaio di risposte. Del resto è lecito avere l’opinione che si vuole su come l’Europa è o dovrebbe essere. E tante volte il clima di una campagna elettorale acuisce certe spinte, rafforza illusioni e delusioni.
Non si può comunque non essere preoccupati per la caduta di fiducia e di speranza che emerge dal rapporto PRC, non si può non leggervi la fine di una visione, forse di un sogno. Nonché un segnale di qualcosa di più vasto. Non si ha più fiducia nell’Europa, ma - sembra - anche in noi stessi, nelle nostre possibilità, nel nostro futuro (il 36% degli intervistati vede la situazione economica italiana peggiorare nei prossimi 12 mesi). Ecco allora che all’“antipatia” per l’Europa si accompagna la fuga verso i paesi europei, la nuova emigrazione italiana, soprattutto giovanile (50000 le cancellazioni anagrafiche per l’estero nel solo 2011, senza contare chi si muove per cercare lavoro senza una prospettiva di lungo termine e dunque senza procedere a una cancellazione anagrafica).
In realtà il sentimento italiano verso l’Europa è ambivalente. Si è contro una data Unione, e al contempo si desidera che il continente ci aiuti, che ci offra una sponda economica, che ci porga una mano sull’immigrazione. Un sondaggio non può fotografare appieno un sentimento complesso, che non si sviluppa con linearità, bensì con la confusione tipica di quel “guazzabuglio che è il cuore umano” (così Manzoni due secoli fa).
Ma proprio per questo, proprio perché tutti viviamo un groviglio di idee e di moti dell’animo, mi preme sottolineare come ci sia bisogno di far crescere una consapevolezza che prevalga sulla tentazione della superficialità, quando non della mistificazione. Possiamo infatti permetterci molte cose, ma non di sprecare quel tesoro di saggezza, di passione, di idealità e di concretezza che le ultime generazioni hanno accumulato in Europa e che hanno reso il nostro continente il baluardo più forte di fronte ai risorgenti assalti dell’irrazionalità, del fanatismo, della violenza organizzata. Non possiamo dimenticare che proprio 100 anni fa altri europei, evidentemente più confusi di noi, gettarono al vento nella follia di un’estate il bene prezioso della pace.
L’Europa, l’integrazione continentale, è questo innanzitutto. Un tesoro prezioso di pace, un punto fermo nella storia, una garanzia di futuro. Non dilapidiamo questo tesoro vivendo la nostalgia della lira o di un mondo senza immigrati. Non facciamolo muovendoci verso un’avventura autosufficiente in un mondo globale che non sa che farsene dei selfies.
Riflettendo capiremo che la nostra storia assomiglia al famoso racconto arabo in cui un uomo che possedeva una casetta con un giardino, una fontana, un albero di fico, sogna che al Cairo lo aspetta un immenso tesoro. Si sveglia, parte per l’Egitto, vive tante disavventure. Arrestato,
racconta all’ufficiale di polizia il motivo del suo viaggio, e questi lo deride: “Che idiota, prestare fede a un sogno! In confronto mi sento saggio. Molte volte ho sognato di trovarmi in una città sconosciuta, in una casetta, con una fontana e un fico, di scavare sotto l’albero e trovarvi un tesoro. Ma mai mi sono messo a rincorrere un miraggio. Va’, e sii meno ingenuo”. L’uomo, che aveva riconosciuto dalla descrizione fattagli e casa e fico, tornò nella sua città, scavò e trovò un grande tesoro”.
Sì, forse, al di là delle nostre disavventure, dobbiamo continuare a prestar fede nel sogno europeo. C’è un tesoro che già ci appartiene, sul quale abbiamo edificato quel che siamo, che è riduttivo quantificare in euro, che è una promessa di pace, di cooperazione, di unità di destino.
Francesco De Palma
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