La violenza verso i cristiani non si ferma in Pakistan.

La notizia è
solo l’ultima di una lunga serie di violenze verso i cristiani residenti in Pakistan.
Solo per ricordare due storie altrettanto tristi come quella di Asia Bibi,
madre di cinque figli in carcere dal 2009 e Sawan Masih, che dall’aprile del
2014 è nel carcere di Faisalabad, in attesa della condanna a morte per il
medesimo presunto reato di blasfemia.
Tuttavia la tragica
fine di Shahzad e di sua moglie Shama, mette in luce come la situazione di
violenza e di incertezza per i cristiani pakistani, stia velocemente
degenerando. Se infatti per i casi di Asia Bibi e Sawan Masih, c’è stato “almeno”
un procedimento penale intentato dal tribunale e gestito dalle forze dell’ordine
(anche se in maniera più che faziosa), per i due poveri giovani l’accusa è
stata fondata solo su alcune dicerie di un vicino (mai realmente provate) e l’esecuzione
di morte è stata fatta da una folla inferocita che non ha lasciato alcuno
scampo alla coppia.


Per fortuna in questo
caso, non solo vi è stata una condanna unanime dell’opinione pubblica anche
pakistana, ma la polizia è intervenuta (anche se tardivamente) ed ha arresto
circa cinquanta persone che hanno partecipato all’orribile esecuzione per un
primo interrogatorio. A muoversi sono stati anche il primo ministro del Punjab,
Shahbaz Sharif, che ha costituito un comitato ristretto di tre persone per
accelerare le indagini e Paul Bhatti, ex ministro pakistano, fratello di Shabbaz
ucciso nel 2011, che ha dichiarato con forza che: «Nessuno dovrebbe subire
violenze fisiche e psicologiche in ragione della sua fede».
Diego Romeo
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