Strage di innocenti, di speranza, di futuro
“L’azione terroristica di Peshawar mi spezza il cuore”. Così ha reagito Malala Yusafzai alla notizia della strage perpetrata ieri nel Pakistan nordoccidentale, obiettivo una scuola pubblica frequentata da alunni tra i sei e i 16 anni, in parte figli di membri dell’esercito. Il bilancio è di oltre 140 vittime, quasi tutti studenti: “Insieme a milioni di persone nel mondo piango per questi bambini che sono miei fratelli e mie sorelle”, ha continuato la giovanissima
laureata per la Pace. E il suo collega di premiazione, Kailash Satyarthi, ha aggiunto: “Oggi sono stati assassinati i figli di tutti noi”.
E’ forse naturale, per chi scrive, collegare i terribili fatti di Peshawar - il racconto atroce di maestri cosparsi di benzina e dati alle fiamme, l’orrore della selezione fra gli studenti, a destra chi era figlio di militare, a sinistra gli altri - con ciò che accadeva appena sei giorni prima nel municipio di Oslo, un Nobel per la Pace che parlava dei diritti di ragazzi e ragazze, di riscatto tramite l’istruzione. Fatto sta che i minori e la scuola sono sotto attacco. In Pakistan, ma anche in Nigeria - Boko Haram ha per target proprio quella che definisce “l’educazione occidentale” -, in Yemen - sempre ieri 15 alunne uccise in uno scuolabus -, in altri paesi del mondo. E’ vero che “un bambino, un maestro, una penna e un libro possono fare la differenza e cambiare il mondo”, come ha detto Malala all’ONU. E’
vero che “l’istruzione potrà salvare il mondo”. E’ vero anche che qualcuno ne ha paura.
Questo qualcuno ha oggi il volto di un terrorismo fondamentalista di radice islamista. Ma il suo è un volto antico che riemerge a tratti nella storia - anche in forme diverse, meno estreme: nella nostra civile e cristiana Roma non si è impedito solo tre settimane fa ad alcuni bambini zingari di andare a scuola? - e che non si ferma nemmeno davanti a una divisa scolastica, agli occhi di un bambino o di una bambina. La strage degli innocenti - ce lo ricordano i Vangeli dell’infanzia in questi giorni che precedono il Natale - è strage di bambini in carne ed ossa, come pure dei loro sogni e del loro futuro, nonché del sogno e del futuro che essi rappresentano.
Più di tutto gli Erode e gli Al-Baghadi della storia temono uno sguardo nuovo sulle cose, il germe di novità matura che nasce dall’incontro tra le generazioni, tra una sapienza antica e uno sguardo inedito; temono le domande di un bambino che vuole andare a scuola.
Sono - guarda caso - le domande di cui Malala Yusafzai e Kailash Satyarthi hanno punteggiato i loro discorsi a Oslo: “Perché le grandi nazioni sono così potenti in guerra e così deboli quando si tratta di fare la pace?”, “Perché bombardare è così facile e distribuire libri così raro?”, “Il mondo è ridotto così male da non poter dare libri e giocattoli ai bambini al posto di armi o arnesi da lavoro?”.
Coi bambini che fanno queste domande, col bambino che nasce a Betlemme, si tratta di continuare a scommettere sul futuro, sui sogni, su ciò che infrange i sensi di impossibilità, i conservatorismi, i continuismi, l’indifferenza. Un mondo nuovo vuole nascere, aiutiamone il parto: Erode non sarà in grado di fermarlo. E, per riprendere ancora le parole di Satyarthi, “nel sorriso di libertà sulla sua bella faccia di bambino, vedremo il sorriso degli dèi”.
Francesco De Palma
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