Non più “nostrum”, ma “illorum”? Se il Mediterraneo ci riguarda di meno …
I mezzi d’informazione stanno evidenziando l’ampiezza della strage di migranti e probabili richiedenti asilo registratasi nei giorni scorsi nel Mediterraneo. Decine di morti assiderati,
centinaia di annegati. Al di là delle dichiarazioni, dei richiami ai doveri dell’Unione Europea, si fa strada la consapevolezza che il passaggio da “Mare nostrum” a “Triton” avrà forse permesso di risparmiare qualcosa in termini di bilancio, ma non ha minimamente disincentivato le partenze dalle coste africane - la pericolosa traversata sarà sempre un rischio relativo per chi ha visto la morte in faccia nel paese d’origine o nel deserto - e si traduce in un terribile costo di vite umane.
Si spera che quel che è accaduto spinga a fare qualcosa, ad accantonare logiche minimalistiche ed elettoralistiche, a ragionare di diritti e di umanità. Occorre uno scatto, l’assunzione delle responsabilità che ci competono, il recupero di una sensibilità meno al ribasso; occorre un salto, quel salto che Mare nostrum - almeno nel nome - prometteva.
Quel mare è “nostro”, è nostra responsabilità, non è una terra di nessuno in cui la fanno da padroni la disumanità e l’indifferenza, o la politica dello struzzo. Difendere nostri valori, i valori europei e occidentali è difendere il diritto alla vita; nonché il diritto d’asilo, che la nostra Costituzione prevede, e quel diritto alla ricerca della felicità che spunta un po’ a sorpresa nella Dichiarazione d’Indipendenza americana.
Non si può morire di questa ricerca, “non si può morire di speranza”, come ha denunciato in un appello la Comunità di Sant’Egidio. E’ tempo che guardiamo ancora a quel mare che ci circonda da tre lati come a una parte di noi, come a qualcosa che ci riguarda; è tempo che guardiamo a quelle vite che si perdono nell’abisso come alle vite di uomini, di donne, di bambini che avrebbero voluto vivere il nostro sogno, il sogno europeo.
Francesco De Palma
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