«Chi salva una vita, salva il mondo intero».Piccola grande storia di Sobuj Khalifa.
Di lui si stanno occupando i quotidiani italiani (e non solo)
da qualche giorno: Sobuj Khalifa, 33 anni, originario di un sobborgo di Dacca,
in Bangladesh, immigrato in Italia ed entrato da qualche tempo nel novero degli
“irregolari”, vive a Roma, sulle banchine del Tevere, nei pressi dell’antica Cloaca Maxima.
Sobuj Khalifa col permesso umanitario |
A quel punto, però, succede una cosa paradossale: mentre la
donna è condotta d’urgenza in ospedale, all'uomo che l’ha salvata viene contestata
l’“irregolarità” del soggiorno. Le procedure di polizia prevederebbero (forse) il
rimpatrio del povero eroe, ma sembra davvero troppo e questa volta la dote del “cuore
tenero” – di cui cantava Fabrizio de André – si impossessa delle forze dell’ordine.
Si apre così uno spiraglio ed a qualcuno viene in mente che a Sobuj Khalifa
potrebbe ben essere concesso un permesso di soggiorno breve, per “motivi
umanitari”. Un anno di tempo, poi si vedrà.
Sobuj Khalifa diventa così – suo malgrado – protagonista
insolito delle cronache cittadine: lo intervistano giornali e TV e lui si
presta generosamente, piccolo uomo dall’italiano incerto e con una maglietta a
righe un po’ fuori misura, con la quale viene ritratto dalle macchine fotografiche.
La donna che lui ha salvato ha 55 anni, è ebrea e cittadina
israeliana: e questo apre infine una finestra inattesa nella vita di Sobuj Khalifa.
A chi gli faceva notare come lui – musulmano – avesse
salvato un’ebrea, ha sempre risposto con stupore: «l’avrei fatto per chiunque».
Così, Progetto Dreyfus, un gruppo
attivo all’interno dell’ebraismo italiano, lancia una inedita iniziativa:
annoverare Sobuj Khalifa tra i giusti delle nazioni, piccolo Schindler del nostro tempo, come per quanti salvarono
gli ebrei dallo sterminio negli anni tragici della Shoah.
La lapide in memoria di Oscar Schindler |
«Ha diritto ad essere aiutato, inserito nella società – dichiara per l’associazione a il Messaggero Marco Scaffardi – e noi intendiamo trovargli un lavoro, non può continuare a dormire sotto un ponte […]. Ci sono le condizioni per aiutare Sobuj […]. Ha salvato una vita ebrea israeliana e per la nostra religione ora è un giusto, è degno d’esser cittadino d’Israele».
Sarebbe la prima volta che la riconoscenza ebraica viene estesa
dalle vicende della Shoah ad un
contesto del tutto diverso: una bella apertura, in linea con lo spirito che
animò ad esempio la manifestazione al Colosseo – lo scorso anno – di
solidarietà ai cristiani perseguitati nel mondo. E sarebbe una bella lezione
anche per Roma, che ha davvero bisogno di ritrovare – in questo tempo fosco, dopo le ruspe a Ponte Mammolo – una radice di accoglienza e di universalità.
Paolo Sassi
Paolo Sassi
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