A Tirana, proseguendo insieme sulla strada della fraternità. Intervista al moderatore della tavola valdese Eugenio Bernardini
Effettivamente, la storia è piena di sorprese, ma anche di paradossi. Lo notava Umberto Folena su Avvenire, raccontando come questa volta a Tirana, capitale dell'Albania, attorno a quello che era stato costruito come il mausoleo (e monumento all'ateismo di stato) per il dittatore Enver Hoxha è stato ora inaugurato - lo scorso 8 settembre - il Parco della fede.
Il tutto alla presenza di centinaia umanisti e di rappresentanti delle religioni mondiali, al termine dell'incontro promosso come ogni anno dalla Comunità di sant'Egidio nello "spirito di Assisi", durante tre giorni nei quali si è discusso sul tema La pace è sempre possibile: #peaceispossible, come recitava l'hashtag lanciato per l'occasione.
Ventisette panel sui temi caldi del mondo e delle grandi sfide globali, a partire dalla pace e dagli scenari di guerra, dalla Siria alla Libia all'Irak; ma anche sulle tragedie dell'immigrazione, sul rapporto tra religioni e violenza, solidarietà globale, unità dei cristiani, ecologia.
Una di queste tavole rotonde è stata dedicata al tema Una nuova allenaza tra umanità e ambiente, con contributi importanti, quali - tra gli altri - quello del rabbino Abraham Skorka, amico del cardinal Bergoglio a Buenos Aires e co-autore di una rilfessione a due voci piuttosto suggestiva, Il cielo e la terra, oppure del ministro della giustizia italiano Andrea Orlando.
Era presente anche Eugenio Bernardini, moderatore della tavola valdese e tra i protagonisti dello storico incontro della piccola chiesa riformata italiana con papa Francesco lo scorso mese di giugno: 61 anni, pastore, eletto nel 2012, parla un ottimo spagnolo - eredità anche degli studi in Costa Rica e dei legami coi fedeli valdesi del Rio de la Plata - ed in questa lingua si rivolse al papa in occasione di un primo incontro, assieme ad altri leader cristiani e delle religioni mondiali sempre convocati dalla Comunità di sant'Egidio nel 2013. Gli ho voluto rivolgere alcune domande, al termine del panel, sulle prospettive aperte dal meeting di Tirana ma anche sulla strada tracciata dall'incontro col papa a Torino e dalla scelta del sinodo valdo-metodista di accogliere la richiesta di perdono e proseguire su una inedita strada di fraternità.
Siamo qui a Tirana, in un paese che nel 1967 - unico al mondo - aveva proclamato l’ateismo di stato; ed è davvero significativo che i rappresentanti delle religioni si trovino in questo momento della storia a confrontarsi in questo paese.
Assolutamente sì. Significa che bisogna avere sempre speranza, anche quando ci sono delle situazioni che appaiono chiuse di fronte ai cambiamenti positivi. Accade l’imprevisto e così noi vediamo questo paese - che era chiuso, povero, che viveva nella paura - trasformarsi. Certo, ci sono stati anni molto difficili, anni in cui ha dovuto chiedere aiuto ai vicini di casa: ricordiamo tutti le immagini di quelle prime navi che arrivavano in Italia facendoci capire che l’Italia aveva cambiato ruolo: da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Ma oggi possiamo finalmente vedere, in fondo dopo pochi anni, che il cambiamento è stato possibile e che è stato positivo.
Seguendo un po’ il discorso affrontato nel panel sul tema dell'alleanza tra uomo e ambiente, mi veniva in mente che se il Novecento è stato – secondo la cogliente definizione di Fanon – il secolo della rivolta dei "dannati della terra", questo XXI secolo rischia di essere il tempo della ribellione della terra alla violenza contro la “casa comune”.
Eh sì, perché stiamo arrivando alla criticità del sistema terra, di questa casa comune in cui noi abitiamo, e purtroppo il tempo diventa molto breve per operare dei cambiamenti nei nostri comportamenti. Le chiese cristiane tutte, ma anche le religioni, hanno un compito fondamentale per creare la consapevolezza di essere arrivati ai limiti di questo sviluppo senza più equilibrio. Abbiamo bisogno di dare anche un contenuto spirituale a questo impegno, perché in fondo anche nelle Scritture, per quanto riguarda la tradizione ebraico-cristiana, emerge molto chiaramente la responsabilità che abbiamo come parte del creato. Ma abbiamo bisogno anche di chiedere alla politica - con forza e con insistenza - che dia uno sbocco a questa azione educativa, che è anche di cambiamento e di ravvedimento. Senza il ruolo della politica, che deve fare buone leggi e soprattutto le deve far applicare, cresce la frustrazione e l’esasperazione per una azione che - se rimane senza sbocchi - diventa quasi inutile. Abbiamo l’esigenza di agire su due fronti: da un lato produrre un cambiamento di mentalità, rafforzare nell’opinione pubblica la volontà di cambiare, e dall’altra chiedere alla politica che arrivi una risposta importante, perché ciascuno faccia la propria parte.
All’indomani del Sinodo valdese, si è aperta un prospettiva di dialogo inedita. Oggi ascoltavamo insieme alcune consonanze davvero significative tra la riflessione del mondo riformato - si ricordava il documento di Accra del 2004 - e l’enciclica di papa Francesco Laudato si'. Si è aperta una stagione nuova di sintonia; come provare a spiegare questa stagione, al di là di una lettura “politica” che a volte la stampa cerca di dare dell’incontro tra cristiani?
Il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste ha confermato il fatto che condividiamo questa volontà di un nuovo dialogo, di una nuova azione comune, di una maggiore fiducia reciproca tra le varie famiglie cristiane, tra le varie chiese. Non soltanto per la responsabilità sociale e politica che abbiamo in un mondo in affanno persino in Europa, ma anche perché è arrivato il momento di ricercare quelle possibilità di soluzioni creative – anche in campo teologico – sui nodi che ancora ci separano; soluzioni che fino adesso non abbiamo voluto cercare, ammettiamolo, perché non c’era abbastanza fiducia reciproca, c’erano molti sospetti sulla reale volontà di arrivare ad una maggiore collaborazione, persino a momenti di unità reale, vissuta nella fraternità. E quindi io mi auguro di avere il tempo per potere tutti – cattolici, protestanti, noi evangelici valdesi: tutti dobbiamo accelerare! – proporre un cambiamento reale, sia sul piano sociale e dell’azione educativa che su quello della riflessione teologica. Abbiamo così tanto da fare che davvero qualche volta le separazioni antiche – che hanno avuto i loro perché – dovrebbero essere vissute oggi in un modo completamente diverso, sotto l’aspetto della collaborazione in tutti i campi. Io quindi esprimo la mia fiducia e il mio auspicio che possiamo meglio di ieri (questa situazione è frutto di un cammino percorso) avanzare nella nostra responsabilità comune.
All’inizio del mandato di moderatore, nel 2013, proprio all’incontro di sant’Egidio a Roma, c’è stato il primo incontro con papa Francesco, assieme agli altri partecipanti al meeting. Poi – in un tempo davvero molto breve – la prima volta di un papa in visita alla chiesa valdese, a Torino. Un tempo che improvvisamente si è fatto breve: che impressione fa?
In effetti, noi abbiamo sempre avuto - con tutti i papi che si sono succeduti dopo il Concilio Vaticano II - degli incontri in ambito di iniziative ecumeniche. Devo dire però che quello che è accaduto quando ho avuto la possibilità – tramite il convegno di Roma di sant’Egidio – di incontrare papa Francesco, mi sono reso conto che forse era la volta buona. Nel senso che eravamo maturi per dare un segnale simbolicamente forte alle nostre opinioni pubbliche interne: sia quella cattolica ma anche la nostra, metodista e valdese, sospettose, timorose. Perché comunque la storia in Italia è stata una storia dolorosa, di sofferenze, di cui ancora la mia generazione, che ha vissuto il cambiamento del Concilio Vaticano II, ha memoria. Certamente non delle tragedie dei secoli passati ma comunque di pregiudizi e difficoltà. E devo dire che in quell’incontro papa Francesco ha fatto la differenza: nel senso che il nome che ha scelto, la modalità con cui si è presentato, le scelte che ha continuato a fare, le cose che ha continuato a sostenere ci hanno fatto capire che era un momento molto maturo.
Quando ci siamo incontrati io ho avuto una sensazione forte, che ci si poteva provare.
Abbiamo cominciato quindi un approccio di avvicinamento, come fanno i porcospini per non pungersi a vicenda, e credo che questo avvicinamento che è stato operato ha portato ad un incontro – quello di Torino – molto bello e che è andato molto al di là delle nostre aspettative e (spero anche ) di papa Francesco. È per questo che noi ci auguriamo di poter intraprendere la strada già iniziata con una forza, una fiducia, una fraternità nuova: questo è quello che vorrei dire.
Al Sinodo delle nostre chiese metodiste e valdesi, poi, anche il messaggio di monsignor Bruno Forte, a nome dei vescovi italiani, è stato un messaggio di svolta. Molto teologico – oltretutto, monsignor Forte è un notevole teologo – e molto fraterno; ed io spero che potremmo approfondire anche questi aspetti, che non sono, per dei cristiani, degli aspetti secondari. Lo possono essere per dei comunicatori: i giornalisti italiani non hanno una formazione approfondita sui temi religiosi; anche tra i cosiddetti “esperti” o “vaticanisti” in realtà non c’è – in generale, naturalmente – una formazione religiosa che consenta di comprendere non dico le sfumature ma a volte proprio i discorsi in sé.
Invece, anche questi aspetti sono importanti: perché la spiritualità che si esprime nel popolo cristiano è una spiritualità che porta poi anche a delle scelte concrete, delle scelte di vita. Non sarà facile, perché ci sono de temi sui quali siamo ancora molto lontani: ad esempio, il prossimo sinodo – non quello nostro, metodista-valdese, ma quello dei vescovi sulla famiglia – mostrerà sicuramente su alcuni di questi temi posizioni molto diverse da quelle che ci sono tra di noi, posizioni maturate più o meno dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento su tutta una serie di tematiche le più diverse. Ma anche queste cose spinose e difficili possiamo oggi affrontarle e discuterle senza litigare, nell’ascolto reale delle ragioni altrui, trovando una strada. In fondo è proprio quello che papa Francesco sta cercando di fare e che noi condividiamo.
Paolo Sassi
Tirana 2015, la cerimonia finale. |
Ventisette panel sui temi caldi del mondo e delle grandi sfide globali, a partire dalla pace e dagli scenari di guerra, dalla Siria alla Libia all'Irak; ma anche sulle tragedie dell'immigrazione, sul rapporto tra religioni e violenza, solidarietà globale, unità dei cristiani, ecologia.
Una di queste tavole rotonde è stata dedicata al tema Una nuova allenaza tra umanità e ambiente, con contributi importanti, quali - tra gli altri - quello del rabbino Abraham Skorka, amico del cardinal Bergoglio a Buenos Aires e co-autore di una rilfessione a due voci piuttosto suggestiva, Il cielo e la terra, oppure del ministro della giustizia italiano Andrea Orlando.
Tirana. Eugenio Bernardini con Andrea Orlando e Markus Dröge. |
Siamo qui a Tirana, in un paese che nel 1967 - unico al mondo - aveva proclamato l’ateismo di stato; ed è davvero significativo che i rappresentanti delle religioni si trovino in questo momento della storia a confrontarsi in questo paese.
Assolutamente sì. Significa che bisogna avere sempre speranza, anche quando ci sono delle situazioni che appaiono chiuse di fronte ai cambiamenti positivi. Accade l’imprevisto e così noi vediamo questo paese - che era chiuso, povero, che viveva nella paura - trasformarsi. Certo, ci sono stati anni molto difficili, anni in cui ha dovuto chiedere aiuto ai vicini di casa: ricordiamo tutti le immagini di quelle prime navi che arrivavano in Italia facendoci capire che l’Italia aveva cambiato ruolo: da paese di emigrazione a paese di immigrazione. Ma oggi possiamo finalmente vedere, in fondo dopo pochi anni, che il cambiamento è stato possibile e che è stato positivo.
Seguendo un po’ il discorso affrontato nel panel sul tema dell'alleanza tra uomo e ambiente, mi veniva in mente che se il Novecento è stato – secondo la cogliente definizione di Fanon – il secolo della rivolta dei "dannati della terra", questo XXI secolo rischia di essere il tempo della ribellione della terra alla violenza contro la “casa comune”.
Eh sì, perché stiamo arrivando alla criticità del sistema terra, di questa casa comune in cui noi abitiamo, e purtroppo il tempo diventa molto breve per operare dei cambiamenti nei nostri comportamenti. Le chiese cristiane tutte, ma anche le religioni, hanno un compito fondamentale per creare la consapevolezza di essere arrivati ai limiti di questo sviluppo senza più equilibrio. Abbiamo bisogno di dare anche un contenuto spirituale a questo impegno, perché in fondo anche nelle Scritture, per quanto riguarda la tradizione ebraico-cristiana, emerge molto chiaramente la responsabilità che abbiamo come parte del creato. Ma abbiamo bisogno anche di chiedere alla politica - con forza e con insistenza - che dia uno sbocco a questa azione educativa, che è anche di cambiamento e di ravvedimento. Senza il ruolo della politica, che deve fare buone leggi e soprattutto le deve far applicare, cresce la frustrazione e l’esasperazione per una azione che - se rimane senza sbocchi - diventa quasi inutile. Abbiamo l’esigenza di agire su due fronti: da un lato produrre un cambiamento di mentalità, rafforzare nell’opinione pubblica la volontà di cambiare, e dall’altra chiedere alla politica che arrivi una risposta importante, perché ciascuno faccia la propria parte.
All’indomani del Sinodo valdese, si è aperta un prospettiva di dialogo inedita. Oggi ascoltavamo insieme alcune consonanze davvero significative tra la riflessione del mondo riformato - si ricordava il documento di Accra del 2004 - e l’enciclica di papa Francesco Laudato si'. Si è aperta una stagione nuova di sintonia; come provare a spiegare questa stagione, al di là di una lettura “politica” che a volte la stampa cerca di dare dell’incontro tra cristiani?
Torino, 22 giugno 2015, Tempio valdese. |
All’inizio del mandato di moderatore, nel 2013, proprio all’incontro di sant’Egidio a Roma, c’è stato il primo incontro con papa Francesco, assieme agli altri partecipanti al meeting. Poi – in un tempo davvero molto breve – la prima volta di un papa in visita alla chiesa valdese, a Torino. Un tempo che improvvisamente si è fatto breve: che impressione fa?
In effetti, noi abbiamo sempre avuto - con tutti i papi che si sono succeduti dopo il Concilio Vaticano II - degli incontri in ambito di iniziative ecumeniche. Devo dire però che quello che è accaduto quando ho avuto la possibilità – tramite il convegno di Roma di sant’Egidio – di incontrare papa Francesco, mi sono reso conto che forse era la volta buona. Nel senso che eravamo maturi per dare un segnale simbolicamente forte alle nostre opinioni pubbliche interne: sia quella cattolica ma anche la nostra, metodista e valdese, sospettose, timorose. Perché comunque la storia in Italia è stata una storia dolorosa, di sofferenze, di cui ancora la mia generazione, che ha vissuto il cambiamento del Concilio Vaticano II, ha memoria. Certamente non delle tragedie dei secoli passati ma comunque di pregiudizi e difficoltà. E devo dire che in quell’incontro papa Francesco ha fatto la differenza: nel senso che il nome che ha scelto, la modalità con cui si è presentato, le scelte che ha continuato a fare, le cose che ha continuato a sostenere ci hanno fatto capire che era un momento molto maturo.
Roma 2013, con Andrea Riccardi e papa Francesco. |
Quando ci siamo incontrati io ho avuto una sensazione forte, che ci si poteva provare.
Abbiamo cominciato quindi un approccio di avvicinamento, come fanno i porcospini per non pungersi a vicenda, e credo che questo avvicinamento che è stato operato ha portato ad un incontro – quello di Torino – molto bello e che è andato molto al di là delle nostre aspettative e (spero anche ) di papa Francesco. È per questo che noi ci auguriamo di poter intraprendere la strada già iniziata con una forza, una fiducia, una fraternità nuova: questo è quello che vorrei dire.
Al Sinodo delle nostre chiese metodiste e valdesi, poi, anche il messaggio di monsignor Bruno Forte, a nome dei vescovi italiani, è stato un messaggio di svolta. Molto teologico – oltretutto, monsignor Forte è un notevole teologo – e molto fraterno; ed io spero che potremmo approfondire anche questi aspetti, che non sono, per dei cristiani, degli aspetti secondari. Lo possono essere per dei comunicatori: i giornalisti italiani non hanno una formazione approfondita sui temi religiosi; anche tra i cosiddetti “esperti” o “vaticanisti” in realtà non c’è – in generale, naturalmente – una formazione religiosa che consenta di comprendere non dico le sfumature ma a volte proprio i discorsi in sé.
Invece, anche questi aspetti sono importanti: perché la spiritualità che si esprime nel popolo cristiano è una spiritualità che porta poi anche a delle scelte concrete, delle scelte di vita. Non sarà facile, perché ci sono de temi sui quali siamo ancora molto lontani: ad esempio, il prossimo sinodo – non quello nostro, metodista-valdese, ma quello dei vescovi sulla famiglia – mostrerà sicuramente su alcuni di questi temi posizioni molto diverse da quelle che ci sono tra di noi, posizioni maturate più o meno dalla fine dell’Ottocento all’inizio del Novecento su tutta una serie di tematiche le più diverse. Ma anche queste cose spinose e difficili possiamo oggi affrontarle e discuterle senza litigare, nell’ascolto reale delle ragioni altrui, trovando una strada. In fondo è proprio quello che papa Francesco sta cercando di fare e che noi condividiamo.
Paolo Sassi
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