Il futuro ha un cuore riflessivo ...
A scuola le settimane seguite agli attentati di Parigi sono state dense di discussioni.
Gli stessi ragazzi - all’inizio impauriti, fragilissimi, poi più dialettici, assetati di notizie - hanno provocato noi professori, cercando una risposta che esorcizzasse il terrore, che lo riducesse a dimensioni più facilmente controllabili. Mi auguro che tutti noi docenti siamo riusciti a confrontarci con un grande bisogno di comprendere, che l’intero sistema scuola sia stato all’altezza delle belle parole diffuse dal ministro Giannini a poche ore dai fatti del Bataclan: “I gravissimi eventi di Parigi rappresentano un attacco al quale dobbiamo dare una risposta, innanzitutto educativa e culturale. Le nostre scuole, le nostre università, i nostri centri di ricerca sono il primo luogo dove l'orrore può essere sconfitto, a diversi livelli di consapevolezza, che resta l'antidoto più efficace di fronte alla violenza e a questa guerra senza frontiere e senza eserciti. Non possiamo cambiare ‘canale’ davanti a queste immagini di morte. Dobbiamo parlarne con i nostri studenti e aiutarli a rifiutare, oggi più che mai, qualsiasi tentazione xenofoba o razzista. È già successo tante volte nella storia, siamo figli e nipoti di persone che hanno dato la vita per affermarlo. Grazie ragazzi, grazie insegnanti, professori e ricercatori per il vostro impegno e per la vostra testimonianza”.
Io, vorrei dire, sono rimasto colpito dall’interiorità di ragazzi dei quali conosco anche la superficialità, a volte. Sono rimasto colpito della maturità che nei momenti più riflessivi hanno saputo esprimere, in qualche dibattito, ma soprattutto nei temi, lì dove l’istinto deve fare spazio al ragionamento.
E allora c’è, sì, chi scrive “In tanti sono diventati razzisti, ma come biasimarli?”, o “Non si può fare distinzione tra buoni e cattivi, bisogna espellerli tutti”. Ma c’è anche chi mostra più raziocinio di quanti sproloquiano in televisione o sui social network: “Molti dicono che i terroristi arrivano coi barconi, potrebbe essere, ma la maggior parte sono europei”, o “La maggiore risorsa dei terroristi è l’ignoranza, caricano le loro armi con pallottole fate della nostra ignoranza”. C’è chi sottolinea come “molta gente discrimina i musulmani, ma sono anche loro vittime della guerra”, che “un negoziante musulmano ha tratto in salvo delle persone ferite”, ovvero come “non bisogna lasciarsi influenzare dagli slogan, diffidiamo di chi soffia sul fuoco della paura e del razzismo”, come “non bisogna essere schiavi della disinformazione, dei luoghi comuni, bisogna cercare di fare la differenza”, come “non dobbiamo cadere in nessuna trappola mentale”. Il punto è, scrive qualcuno, “essere uniti nella lotta contro ogni violenza. ‘Essere Parigi’ significa essere solidali con tutte le popolazioni che soffrono per la guerra o la fuggono, come i siriani”. E c’è, infine, chi testimonia l’appartenenza a un mondo differente, più plurale, più aperto e migliore di quello in cui io stesso sono cresciuto: “Ho un amico musulmano e mi ha detto che anche in Libano c’era stato un attentato il giorno prima, perché niente profili facebook con la bandiera libanese?” “Sono cresciuta con una ragazza musulmana e ci parlo tuttora. Ebbene, l’Islam di cui la mia amica mi parla è un Islam che predica amore”.
Sì, come scriveva Anna Frank nel 1944, in un tempo particolarmente difficile, “nonostante tutto credo tuttora all’intima bontà dell’uomo e continuo a pensare, in un mondo che si trasforma in deserto, che tutto tornerà a volgersi al bene”. Il futuro, per quello che posso vedere, non è una bandiera nera che proclama o suscita contro di sé parole di odio. Il futuro che si fa strada nella vita dei miei alunni, nella giovane Italia che cresce, ha un cuore più aperto e più riflessivo.
Francesco De Palma
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