La scuola, “palestra di civiltà”, anche al tempo del terrore
Un inno alla forza e alla bellezza della scuola.
Così ho letto io - tra le altre cose - l’intervista rilasciata a Repubblica da Alberto Solesin, padre di Valeria, la ricercatrice italiana uccisa al Bataclan di Parigi negli attentati del 13 novembre, e pubblicata ieri.
Il signor Solesin, che non ha fatto prevalere dentro di sé l’odio o la semplificazione della generalizzazione, rivendica la coerenza delle “proprie idee di solidarietà”: “Vede, io sono dirigente scolastico, mia moglie è insegnante. Lavorare nella scuola ci ha aiutato, perché pur nelle difficoltà la scuola resta una palestra di civiltà”.
E continua: “Noi siamo sopraffatti dal dolore, non c’è nemmeno il bisogno di dirlo. Ma io non faccio il vendicatore, nella mia vita ho seguito altri percorsi. Posso odiare una singola persona ma non un popolo, una religione. La faccenda è più complessa. L’ho capito già davanti all’obitorio di Parigi, c’erano facce arrivate da tutto il mondo, compreso il Nord Africa”.
Sì, la scuola è un luogo speciale. A parte. Può esserlo, quanto meno.
Un luogo in cui, mentre nel mondo si innalzano muri, ci si contrappone, si irride all’altro o lo si demonizza, ogni occasione è spesa per far vivere insieme, per integrare, per riflettere, per cambiare passo, per liberarsi.
La scuola è sempre scuola di inclusione, di ragionamento, di pace. E’ “palestra di civiltà”.
Francesco De Palma
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