Il dialogo tra i centri del mondo per un futuro di pace nell’intervista di papa Francesco a “Asia Times”
E’ di particolare interesse l’intervista che papa Francesco ha rilasciato qualche giorno fa a “Asia Times” e diffusa oggi, 2 febbraio. Un testo non breve, non di circostanza, in cui Bergoglio fa trapelare in maniera evidente la propria stima per l’Impero di Mezzo, il desiderio che lo anima di trovare una via per toccare il cuore di quel mondo nel mondo che è l’orizzonte cinese. Le parole del pontefice esprimono senz’altro una certa dose di savoir faire e di diplomazia, ma anche la passione per l’incontro che è tipica di questo papato.
L’intervista verte volutamente su “questioni culturali e filosofiche ampie”, più che su “argomenti religiosi o politici”. Francesco sembra a suo agio su tali temi. Il papa che ha saputo invitare Cuba a fare la rivoluzione (quella del Vangelo, ovviamente, “Torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto”), che ha citato “We, the people”, il preambolo della Costituzione statunitense del 1787, per dire agli americani come non debbano aver “paura degli stranieri, perché molti di noi una volta eravamo stranieri”, è sembrato cogliere il nodo di quel che i cinesi pensano di loro stessi: “Per me la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande paese. Ma più che un paese, una grande cultura con una saggezza inesauribile”.
In Bergoglio gesuita non può che premere il modello di Matteo Ricci, il grande missionario capace di giungere alla Città Proibita, colui che sembrò essere a un passo dalla conversione del Celeste Impero: “Ho visto come [Ricci] provava la stessa cosa che provo io e nello stesso identico modo, ammirazione, e come era riuscito a entrare in dialogo con questa grande cultura, con questa saggezza secolare. Seppe ‘incontrarla’”.
Incontrare vuole dire accogliere, non inghiottire: “La Chiesa cattolica, tra i cui doveri vi è quello di rispettare tutte le civiltà, dinanzi a questa civiltà ha il dovere di rispettarla”.
Una strada valida non solo per la Chiesa, bensì pure per la nostra società, secolare e invecchiata: “Qui abbiamo Nonna Europa, come ho detto a Strasburgo. Sembra che non sia più Mamma Europa. Spero che possa riuscire a riprendersi quel ruolo. E riceve da questo antichissimo paese un contributo sempre più ricco. E’ necessario accettare la sfida. Il mondo occidentale, il mondo orientale e la Cina hanno tutti la capacità di mantenere l’equilibrio della pace e la forza per farlo. Dobbiamo trovare il modo, sempre attraverso il dialogo; non c’è altra via (allarga le braccia come per abbracciare)”.
C’è un augurio che il pontefice rivolge al popolo cinese: “Desidero esprimere la mia speranza che non perda mai la consapevolezza storica di essere un grande popolo, con una grande storia di saggezza, e che ha molto da offrire al mondo. [Che] possiate continuare ad andare avanti per aiutare e cooperare con tutti nella cura per la nostra casa comune e i nostri popoli comuni”.
E’ l’augurio rivolto in fondo ad ogni popolo, perché ogni cultura ha bisogno di dare e di ricevere. E’ l’augurio rivolto a noi, perché il tramonto dell’Occidente - per dirla in termini spengleriani - ha bisogno di incontrare il sorgere dell’Oriente.
Il papa non ha parlato di periferie questa volta. Tra Roma, caput mundi, e la Cina, impero “di mezzo”, non era il caso. Due centri si confrontano, si stimano reciprocamente, si lanciano segnali di dialogo, vogliono incontrarsi. E se i centri del mondo si incontrano le periferie non potranno che seguire.
Francesco De Palma
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