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Un mondo senza pena di morte. A Roma il Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia

Il prossimo 22 febbraio si svolgerà a Roma presso la Camera dei Deputati il IX Congresso Internazionale dei Ministri della Giustizia A World without the death penalty. Ancora una volta radunati dalla Comunità di Sant’Egidio oltre trenta fra ministri e rappresentanti di paesi africani, asiatici, latinoamericani ed europei si incontreranno per meglio approfondire l’evoluzione abolizionista dell’ultimo ventennio – in particolar modo nel continente africano – e individuare nuove strategie per favorire i tanti paesi abolizionisti de facto ad orientarsi con decisione almeno verso una moratoria de jure, primo passo verso l’abolizione.  

Il Convegno non a caso si svolge in Italia, paese capofila nella lotta per l’abolizione della pena di morte, come ha riconosciuto recentemente il segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon, ringraziando il Presidente Mattarella per il ruolo che l’Italia ha svolto e svolge tuttora nel supportare la campagna per l’abolizione universale della pena di morte.

La situazione in cui viviamo ci dice che non esistono diritti conquistati ovunque e per sempre. E che per tutelare ed affermare i diritti dell’uomo occorre un impegno costante e una continua ricerca dei mezzi più appropriati. Sappiamo bene quali sono le difficoltà, quali sono gli ostacoli che fino ad ora hanno rallentato il cammino e che abbiamo ancora davanti. Occorre avere il coraggio di guardare ai diritti umani non come a un elenco di valori o un decalogo di buoni propositi, ma come conquiste del pensiero e della lotta per la dignità di ogni persona, non facili da realizzare e a volte in conflitto tra loro, eppure capaci di costituire un punto di riferimento essenziale per muoversi nel mondo complesso della globalizzazione. Nel rispetto delle culture e delle diversità, delle differenti forme economiche e sociali, non è ammissibile che il mondo del Duemila possa rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Le battaglie condotte negli ultimi anni attestano dei punti fermi. L’umanità non appare in grado di poter sopravvivere a lungo secondo le dinamiche di giustizia del passato. L’inflizione della pena di morte non risponde più – come attestano diverse ricerche criminologiche - all’idea di una prevenzione che dipenda dalla intimidazione (o deterrenza) nei confronti della collettività e dalla neutralizzazione del condannato. Al contrario, la pena di morte delegittima nella società il valore della vita e della dignità dell’altro. Nel suo breve e fortunato romanzo L’ultimo giorno di un condannato a morte, Victor Hugo affermava significativamente: «Lungi dall’essere edificante per il popolo, lo demoralizza, e guasta in esso ogni sensibilità, e quindi ogni virtù». L’esperienza storica mostra, infatti, che la neutralizzazione di singoli condannati non incide sulla loro continua sostituzione nelle attività criminose, cioè non induce una diminuzione dei tassi di criminalità.

Diversi paesi (Camerun, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Ciad, Tunisia) hanno recentemente allargato l’ambito di applicazione della pena di morte per includervi i crimini connessi al terrorismo e un numero allarmante di paesi che hanno usato la pena di morte negli ultimi due anni lo hanno fatto in risposta a minacce reali, o percepite come tali, alla sicurezza dello stato e alla sicurezza pubblica, poste dal terrorismo, dalla criminalità o dall’instabilità interna. Per esempio, il Pakistan ha revocato la moratoria, che durava da sei anni, delle esecuzioni di civili sulla scia del terribile attacco alla scuola di Peshawar. Il governo si è anche impegnato a mettere a morte centinaia di persone nel braccio della morte che erano state condannate con capi d’accusa connessi al terrorismo. Va, pertanto, risolto anche l’equivoco secondo cui la pena di morte potrebbe trovare giustificazione facendo riferimento alla legittima difesa. Quest’ultima, infatti, attiene esclusivamente – come ha più volte ripetuto efficacemente il giurista Eusebi - all’interruzione non altrimenti realizzabile, con mezzi proporzionati, di una condotta aggressiva in atto. Lo afferma con grande chiarezza papa Francesco, nella sua lettera del 30 marzo 2015 al Presidente della Commissione internazionale contro la pena di morte: «È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone. … Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà sono dunque chiamati oggi o a lottare non solo per l’abolizione della pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ma anche al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà. E questo, io lo collego con l’ergastolo. In Vaticano, poco tempo fa, nel Codice penale del Vaticano, non c’è più, l’ergastolo. L’ergastolo è una pena di morte nascosta. Oggigiorno la pena di morte è inammissibile, per quanto grave sia stato il delitto del condannato. È un’offesa all’inviolabilità della vita e alla dignità della persona umana che contraddice il disegno di Dio sull’uomo e sulla società e la sua giustizia misericordiosa, e impedisce di conformarsi a qualsiasi finalità giusta delle pene. Non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta. Per uno Stato di diritto, la pena di morte rappresenta un fallimento, perché lo obbliga a uccidere in nome della giustizia. Dostoevskij scrisse: «Uccidere chi ha ucciso è un castigo incomparabilmente più grande del crimine stesso. L’assassinio in virtù di una sentenza è più spaventoso dell’assassinio che commette un criminale». Non si raggiungerà mai la giustizia uccidendo un essere umano».

Gli organizzatori del congresso di Roma sono fiduciosi che sarà un’occasione importante per offrire sostegno e strumenti giuridici a quegli Stati che stanno intraprendendo un percorso verso l’abolizione o la sospensione della pena di morte. Insieme alle parole di Papa Francesco, è fondamentale ribadire la sacralità della vita, diffondere la cultura della pace, togliendo spazio al demone della paura, che in questo tempo difficile rischia di travolgere la vita di tanti.

Antonio Salvati

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