La “normalizzazione” dell’eutanasia
L’eutanasia fa altri passi avanti in Europa.
In Olanda cresce il numero di quanti richiedono la “morte di stato” per cause legate a disturbi mentali, ovvero a stress post-traumatici.
L’analisi di tali richieste, però, evidenzia come in molti casi delle terapie alternative avrebbero potuto garantire un trattamento positivo delle patologie in questione. E che nel 56% delle pratiche che hanno portato alla morte del richiedente l’eutanasia, il fattore principale dell’avvio dell’iter era stato una condizione di isolamento sociale.
Il rischio è che con l’invecchiamento della popolazione e la crescente diffusione della solitudine nei paesi occidentali l’eutanasia sarà un modo sempre più “normale” di affrontare certe difficoltà.
Qualcosa di analogo accade in Belgio, dove è stata depositata alla Camera una proposta di legge che mira ad allungare indefinitamente la validità delle dichiarazioni anticipate di eutanasia (valevoli in caso di perdita di coscienza, oggi limitate a cinque anni), e soprattutto a garantire al medico che vuole portare avanti il suicidio assistito un’obiezione di coscienza “ex contrario”, da utilizzare in caso contro strutture che facessero presente difficoltà logistiche o avanzassero motivi di cautela.
Se in un primo momento si giurava e spergiurava che l’eutanasia sarebbe stata consentita solo in circostanze eccezionali, per adulti e sani di mente, dopo una matura riflessione, ora il suicidio assistito sembra andare oltre ogni barriera e si prefigura una sua “normalizzazione” terapeutica.
Forse è il caso di lanciare l’allarme.
Francesco De Palma
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