Commenti: Intervista a papa Francesco alla vigilia del viaggio in Svezia, camminare insieme ed essere inquieti …
Su Civiltà Cattolica è apparsa un’intervista a papa Francesco alla vigilia del suo viaggio in Svezia.
Nei prossimi giorni, infatti, il pontefice prenderà parte a una cerimonia ecumenica a Lund: Federazione Luterana Mondiale e Chiesa Cattolica celebreranno l’inizio del 500° anniversario della Riforma. Proprio il 31 ottobre 1517, in effetti, Lutero affiggeva sul portale della grande chiesa di Wittenberg quelle 95 tesi che avrebbero cambiato la storia dell’Europa e del cristianesimo.
L’intervista si segnala per la sottolineatura che Bergoglio dà al proprio modo di intendere dialogo ecumenico. Partendo dal riconoscimento per l’azione svolta da Lutero (“Ha fatto un grande passo per mettere la Parola di Dio nelle mani del popolo”), passando per gli incontri che hanno visto crescere l’amicizia diverse confessioni cristiane (in particolare quello di Assisi, lo scorso settembre: “L’incontro è stato molto rispettoso e senza sincretismo. Tutti insieme abbiamo parlato della pace e abbiamo chiesto la pace […] Per questo l’incontro di Assisi è molto importante”), giungendo a una definizione più pratica che teorica dell’ecumenismo: “Il dialogo teologico deve proseguire”, ha detto. Però “personalmente credo anche si debba spostare l’entusiasmo verso la preghiera comune e le opere di misericordia, cioè il lavoro fatto insieme nell’aiuto agli ammalati, ai poveri, ai carcerati. Fare qualcosa insieme è una forma alta ed efficace di dialogo”.
Ecumenismo è essere insieme: “Non si può essere cattolici e settari. Bisogna tendere a stare insieme agli altri. ‘Cattolico’ e ‘settario’ sono due parole in contraddizione”. Di più: “La vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare. Quando ci allontaniamo, ci chiudiamo dentro noi stessi e diventiamo monadi, […], ci facciamo prendere dalle paure. Bisogna imparare a trascendersi per incontrare gli altri”.
Il pontefice si è soffermato poi su altri temi, l’ecumenismo del sangue (ad Amburgo cattolici e protestanti sono stati perseguitati insieme dal regime nazista), il martirio dei cristiani in tanti luoghi del mondo (con il ricordo commosso dell’incontro a Lesbo con un musulmano che aveva sposato una cristiana poi uccisa dai jihadisti per non essersi voluta togliere la croce dal collo: “una martire”, ha detto il papa).
E poi il futuro, la necessità di fare spazio allo spirito, sia nelle chiese più vecchie, che in quelle più giovani: “Le Chiese giovani hanno uno spirito più fresco e, d’altra parte, ci sono Chiese invecchiate, Chiese un po’ addormentate, che sembrano essere interessate solamente a conservare il loro spazio. In questi casi non dico che manchi lo spirito: c’è, sì, ma è chiuso in una struttura, in un modo rigido, timoroso di perdere spazio. […] Fa bene rileggere il capitolo III del profeta Gioele, lì dove dice che gli anziani faranno sogni e che i giovani avranno visioni. Nei sogni degli anziani c’è la possibilità che i nostri giovani abbiano nuove visioni, abbiano nuovamente un futuro. Invece le Chiese a volte sono chiuse nei programmi, nelle programmazioni”. “Per questo a Cracovia, durante la Giornata Mondiale della Gioventù, ho raccomandato ai giovani di parlare con i nonni”, ha continuato Bergoglio. “Quando i giovani parlano con gli anziani e quando gli anziani sanno sognare cose grandi, questo fa sì che i giovani profetizzino. Se i giovani non profetizzano, alla Chiesa manca l’aria”.
Del resto, il viaggio in Svezia è incontro non solo col mondo protestante, bensì pure con quello della scristianizzazione. E’ la sfida del tempo che viene, la sfida di chi “si chiude” e “considera la propria vita perfetta in se stessa”. Anche questa è una sfida che Francesco vuole accettare, con una consapevolezza e un’indicazione preziose: “Io sono convinto che chi non crede o non cerca Dio forse non ha sentito l’inquietudine di una testimonianza. E questo è molto legato al benessere. […] Per questo credo che contro l’ateismo, cioè contro la chiusura alla trascendenza, valgano davvero solamente la preghiera e la testimonianza”. “Bisogna avere il cuore inquieto e avere strutture, sì, ma inquiete”, ha concluso: “Non restare chiusi in prospettive rigide, perché in queste non c’è possibilità di riforma”.
In un tempo di difficoltà e di disordine la strada giusta non è la tranquillità della chiusura e della soddisfazione dell’io, ma l’inquietudine. In un contesto in cui il Vangelo è sconosciuto a tanti la via non è la riaffermazione autoreferenziale, ma la riforma.
Francesco De Palma
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