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LETTURE: Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi

Da padre e da insegnante sono spesso attratto da analisi sugli adolescenti. Mi sono imbattuto in un libro – assai agile e accessibile a un pubblico vasto – di Gustavo Pietropolli Charmet, Fragile e spavaldo. Ritratto dell’adolescente di oggi, uscito alcuni anni fa. Chi di noi non ha mai fatto confronti – specialmente nelle conversazioni con amici o con colleghi – tra la propria e la nuova generazione adolescenziale? Senza ombra di dubbio i nostri adolescenti presentano caratteristiche differenti rispetto a quelli di 20 – 30 anni fa. Gli adolescenti di qualche decennio fa erano particolarmente intrisi di un senso di colpa. Dal forte senso di colpa scaturirono – secondo Pietropolli Charmet - la contestazione e l’attacco a quelle istituzioni che difendevano lo status quo. La nuova generazione adolescenziale, invece, “che sia in sofferenza oppure in una situazione di normalità, non si preoccupa più della colpa, del padre, dello stato e quindi delle regole, non ha più nessun timore del castigo tanto e spesso paventato nel passato, e questo vale in famiglia così come all’interno della scuola e della società civile”. L’adolescente odierno – sottolinea acutamente l’autore - non è più quello edipico di trenta anni fa che provava un senso di colpa nel momento in cui trasgrediva qualche regola familiare, scolastica, sociale o anche soltanto vi si sottraeva leggermente: “siamo ormai di fronte a un giovane che ricerca il successo, la bellezza, l’affermazione a tutti i costi del proprio io, dei propri progetti”. Tuttavia, oggi come ieri, non sono diminuite le difficoltà di fronte alle quali scatta spesso il nocivo sentimento di vergogna: affrontare “il dolore e la sofferenza per la vergogna provata di fronte a un insuccesso diventa difficile, molto più difficile che fronteggiare il senso di colpa, come accadeva a noi adulti quando eravamo ragazzi. In effetti, gli adolescenti sono oggi esposti da un lato al bisogno di riconoscimento, di valorizzazione, dall’altro all’umiliazione e alla rabbia feroce se non raggiungono quanto programmato da loro o, più spesso, da qualcuno al posto loro: ecco, quindi, spiegate le reazioni violente quando il narciso incontra l’insuccesso”.
Ciascuno di noi ricorda perfettamente le proprie delusioni sentimentali vissute nel corso dell’adolescenza e il senso di forte delusione che ne derivava. La delusione in amore è vissuta dal nuovo adolescente “come uno scacco mortificante che provoca tutta una serie di atteggiamenti nocivi per se stesso e per gli altri; infatti, il dolore per un fallimento sentimentale non è più quello di tipo depressivo che provavamo noi da ragazzi, è invece di tipo narcisistico. L’insuccesso in amore è vissuto con rabbia, con il sentimento di aver subito un oltraggio, non c’è più lutto, come nel passato, c’è vergogna di fronte a se stessi e, ancor più, di fronte agli altri, al gruppo di amici”. Sentimento di vergogna che – avverte Pietropolli Charmet - può produrre effetti devastanti e reazioni sconsiderate. L’importante è non essere svergognato agli occhi degli altri: “questa fragilità narcisistica che genera vergogna è la stessa da cui nasce la spavalderia del giovane e la sua contestazione di tutto ciò che può potenzialmente mortificarlo”.
Nel gioco dei confronti non poteva restare esclusa la famiglia. Nella nostra società “i valori del narcisismo sono molto più presenti rispetto a quelli del masochismo, fondato sul senso di colpa edipico. I giovani tendono a sentire come legittima la realizzazione del sé piuttosto che a vedere gli altri, ad accorgersi di loro. E c’è da dire che, nei primi 10-12 anni, è proprio la famiglia a spingere il bambino-adolescente verso questo atteggiamento narcisistico, perchè lo considera non più come un selvaggio da educare alle regole interne ed esterne ad essa, ma come un essere che deve realizzare pienamente la propria originalità”. Ai bambini, pertanto, manca quel Super-Io che li faccia a volte sentire in colpa, anzi è per loro normale chiedere sempre di più. Conseguentemente, “gli adulti dovrebbero chiedersi se non siano loro a creare il narciso facendo del bambino un piccolo adulto e, in fondo, favorendo la sua situazione di fragilità, dal momento che vi è spesso un ampio scarto tra ciò che la società chiede loro e quello che loro riescono a dare”. E’ evidente che tutto ciò occorre contestualizzarlo nelle recenti trasformazioni culturali e sociali. Nell’arco di poco tempo siamo passati da un modello cosiddetto autoritario ad uno dove le regole non sono più fondamentali, decisive; più importanti “sembrano, invece, essere la cogestione familiare, la partecipazione del bambino, lo sviluppo creativo di tutte le sue potenzialità”. La famiglia ha ormai accolto pienamente l’idea “secondo la quale la quantità e la qualità del dolore che un figlio può sopportare devono essere molto basse, mentre il canale del dialogo deve essere sempre lasciato aperto, insomma amore e non castigo. Ormai l’obbedienza non è più una chiave di lettura, l’amore è tutto”.
Questo modello educativo si cala, tuttavia, in un clima culturale (l’autore parla di sottocultura mass-mediale) che presenta ai giovani dei modelli falsi e gonfiati che vengono sempre più supinamente accettati. Attenzione, sottocultura che non vende solo merci, ma anche modi di pensare e di vivere: “ormai, se c’è il successo c’è tutto, il modo con il quale esso è stato o può essere ottenuto (neanche tanto frequentemente) è poco rilevante. Si sono liberati i costumi sessuali, si è data rilevanza al gioco, alla creatività, e fin qui le intenzioni sono buone, ma quando ci accorgiamo, purtroppo sempre più spesso, che i nostri ragazzi venerano certe trasmissioni, figlie della sottocultura televisiva, attraverso le quali sono inviati chiari messaggi secondo cui contano solo la bellezza e l’apparenza, o frequentano internet unicamente per appagare ed esaltare i loro desideri narcisi e la loro volontà di apparire a tutti i costi, allora ci dobbiamo seriamente interrogare su come difendere noi stessi e i nostri giovani”.
Buona parte del libro sottolinea le difficoltà degli insegnanti nel rapportarsi con i nostri adolescenti. Difficoltà legate anche dal fatto che il ruolo istituzionale della scuola negli ultimi anni si è assai ridotto. E’ quasi scomparso il ruolo simbolico dell’insegnante, assai rilevante nel passato. Non c’è una risposta educativa valida e applicabile in ogni circostanza. Ma, ieri come oggi, i ragazzi desiderano essere presi sul serio, ascoltati: “chiedono più relazione e meno valutazione e di questo bisogna tener conto: sono disposti anche ad accettare una valutazione severa se questa è erogata all’interno di una relazione”. Occorre, quindi, da parte degli adulti un impegno significativo e un profondo cambio culturale. Buon lavoro a tutti coloro interessati e impegnati a non allargare il divario generazionale tra adulto e adolescente.


Antonio Salvati

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