Il cristianesimo al tempo di papa Francesco
Una “due giorni” di livello, su un tema di grande interesse quale il presente e il futuro di una Chiesa che il “ciclone Francesco” sta trasformando, sul quale più volte ci si è soffermati in questo blog, quella che la Società Dante Alighieri ha organizzato tra oggi e domani nella sua sede centrale di p.za Firenze, a Roma.
Un convegno sull’oggi del cattolicesimo, ma anche sulle prospettive verso cui l’energia e la popolarità del papa “venuto dalla fine del mondo” sta facendo incamminare una realtà millenaria e plurale, e sulle domande che osservatori e studiosi si pongono.
“Tra centri e periferie” il titolo della sessione di questa mattina, “Nella globalizzazione” quello del pomeriggio.
Lo storico del papato Andrea Riccardi (“La Chiesa tra centro e periferia”) è partito dalla crisi del 2013, rivelatasi ed esplosa con le dimissioni di Benedetto XVI. L’elezione di Bergoglio a successore di Pietro ha inteso essere la risposta del collegio cardinalizio a quella crisi. Una risposta che Francesco ha declinato non come dei provvedimenti riformatori, bensì come la scelta di una “comunicazione diretta”, di una “capacità profonda di entrare in contatto con le emozioni della gente”, qualcosa di cui c’è bisogno, al di là della secolarizzazione, perché in tanti cercano un “orientamento spirituale”. L’idea di chiesa che ha in mente Bergoglio contesta chi si accontenta di essere una “minoranza”; la chiesa di Francesco è “profetica”. Si tratta di “essere lievito”, di “fare chiasso”, varcando i confini, rivolgendosi a un popolo, per “fare popolo”, in una prospettiva inclusiva. Il sogno è che anche altri segmenti ecclesiali “riprendano a profetizzare”, andando oltre la “mediocrità”, facendo uscire l’ecclesiosfera dalla crisi dell’impegno comunitario. C’è una “rivoluzione culturale” da avviare, per Francesco. Non un progetto lineare, né “una riforma fine a se stessa”, ma un processo di crescita e di conversione. La palla passa ora ai vari soggetti che compongono la Chiesa. “Riuscirà papa Francesco a incidere in questi ambiti?”, è la domanda di Riccardi.
Massimo Franco, saggista e giornalista (“Il caso nordamericano”), ha ripreso tale domanda e ha cercato di fornire una risposta con il suo intervento, centrato sul rapporto che il mondo statunitense ha instaurato con l’attuale vescovo di Roma e sul futuro che si delinea a partire dall’ingresso alla Casa Bianca di Donald Trump. E’ proprio questo evento, che segna l’inizio del 2017, a configurarsi come un’incognita, e come un’incognita non del tutto favorevole al primo pontefice americano. Perché Trump è “un antipapa oggettivo”, è il “telepredicatore di un Occidente che è agli antipodi da quello che ha in mente la Chiesa cattolica”, è la manifestazione di un sentimento popolare non sempre vicino agli appelli di Francesco all’accoglienza degli esclusi e dei migranti.
Anche con Gianni La Bella, dell’Università di Reggio Emilia (“L’America Latina”), si è restati oltreoceano, ad analizzare “l’humus” che ha fatto emergere la visione e l’azione di cui è portatore Bergoglio, uno scenario dal quale emerge con forza l’incontro di Aparecida del 2007, il cui documento conclusivo riecheggia tante volte nelle parole e nei testi di Francesco.
Il cardinal Walter Kasper (“Papa Francesco e le sfide dell’ecumenismo”) ha insistito sul fatto che Bergoglio ha soffiato come “un vento nuovo e fresco” su una “situazione di stallo”. Lo stile “dialogante” del nuovo vescovo di Roma ha costituito un modo di vivere l’atteggiamento dialogico tipico del Vaticano II, un Concilio che per il primo papa ordinato dopo l’assise è assunto come “dato di fatto” e non come problema, “punto di partenza e non di arrivo”. Per questo Francesco può parlare di “conversione del papato”, un “unicum” nella storia ecclesiale; per questo si può lavorare per l’unità ecumenica valorizzando tanto il primato quanto la sinodalità, come fossero i due fuochi di un’unica ellisse.
Dal dialogo tra le varie confessioni al dialogo con le altre religioni. Ecco il tema su cui si sofferma Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio (“Lepanto versus Assisi: cristianesimo e islam”). Il dialogo, già da tempo, non è “ancillare” alla missione, ha un suo valore e una sua storia. Quello con l’islam assume oggi una particolare rilevanza, già compresa da Bergoglio durante il servizio episcopale a Buenos Aires, e ricompresa quando come vescovo di Roma si è trovato a guardare al fenomeno globale della migrazione, ovvero al rischio dello scontro tra civiltà. Eppure “i migranti sono persone, innanzi tutto”, dice il papa; le preoccupazioni della gente e di certe chiese locali non lo inducono a dimettere un atteggiamento di apertura, che rifugge le semplificazioni, che sceglie di non aver paura dell’Altro. Alla fine, come ha dichiarato Francesco dopo il colloquio col Grande Imam di al-Azhar, “è l’incontro stesso il messaggio” di cui farsi portatori.
Domani il convegno continua, sono in programma contributi particolarmente interessanti, quali quelli di Claude Dagens, “L’eredità dell’impero romano nel cattolicesimo odierno”; Massimo Faggioli, “I laici nella Chiesa”; Marta Margotti, “France pays de mission. Vangelo e periferia”; Armand Puig, “La Chiesa e i poveri”; di altri ancora ….
Il cardinal Walter Kasper (“Papa Francesco e le sfide dell’ecumenismo”) ha insistito sul fatto che Bergoglio ha soffiato come “un vento nuovo e fresco” su una “situazione di stallo”. Lo stile “dialogante” del nuovo vescovo di Roma ha costituito un modo di vivere l’atteggiamento dialogico tipico del Vaticano II, un Concilio che per il primo papa ordinato dopo l’assise è assunto come “dato di fatto” e non come problema, “punto di partenza e non di arrivo”. Per questo Francesco può parlare di “conversione del papato”, un “unicum” nella storia ecclesiale; per questo si può lavorare per l’unità ecumenica valorizzando tanto il primato quanto la sinodalità, come fossero i due fuochi di un’unica ellisse.
Dal dialogo tra le varie confessioni al dialogo con le altre religioni. Ecco il tema su cui si sofferma Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio (“Lepanto versus Assisi: cristianesimo e islam”). Il dialogo, già da tempo, non è “ancillare” alla missione, ha un suo valore e una sua storia. Quello con l’islam assume oggi una particolare rilevanza, già compresa da Bergoglio durante il servizio episcopale a Buenos Aires, e ricompresa quando come vescovo di Roma si è trovato a guardare al fenomeno globale della migrazione, ovvero al rischio dello scontro tra civiltà. Eppure “i migranti sono persone, innanzi tutto”, dice il papa; le preoccupazioni della gente e di certe chiese locali non lo inducono a dimettere un atteggiamento di apertura, che rifugge le semplificazioni, che sceglie di non aver paura dell’Altro. Alla fine, come ha dichiarato Francesco dopo il colloquio col Grande Imam di al-Azhar, “è l’incontro stesso il messaggio” di cui farsi portatori.
Domani il convegno continua, sono in programma contributi particolarmente interessanti, quali quelli di Claude Dagens, “L’eredità dell’impero romano nel cattolicesimo odierno”; Massimo Faggioli, “I laici nella Chiesa”; Marta Margotti, “France pays de mission. Vangelo e periferia”; Armand Puig, “La Chiesa e i poveri”; di altri ancora ….
Francesco De Palma
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