Memorie di Roma
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Roma, via della Panetteria: in memoriam di Romualdo Chiesa. |
In questo senso, mi ha sempre incuriosito la lettura delle lapidi cittadine, di quelle recenti come di quelle remote. Sono come segni di evidenziatore, che - a volte dopo molti anni da un fatto allora ritenuto importante - provano a trasmettere ai posteri un messaggio ritenuto degno di essere ricordato.


Sono in genere scarsamente evidenti, collocate - come sono - ad un'altezza che richiede, per poterle vedere, di sollevare lo sguardo: metafora non secondaria di questo nostro tempo affollato di immagini ed evanescenza.
Si accompagnano quasi sempre - specie se a distanza dalla data memoriale dell'eccidio - ad una corona d'alloro ormai avvizzito e ad un nastro colorato, a ricordo di una rapida cerimonia ivi svolta dall'amministrazione civica. Riportano frasi di un sintetico curriculum esistenziale, interrotto quel giorno di marzo del 1944, nella cava ardeatina; e sono spesso accompagnate da una memoria struggente della vita stroncata da quell'ordine scellerato e disumano di cui ha scritto così bene Alessandro Portelli in un bel libro di qualche anno fa, poi ripreso ed affabulato da Ascanio Celestini in Radio clandestina.

Si accompagnano, da qualche anno, alle "pietre di inciampo", che invece rammentano al camminatore le vittime della Shoah, che anche a Roma ha avuto le sue vittime innocenti.
Singolare che a Roma chi voglia conservare identità e memoria debba fare due cose così diverse: alzare un poco lo sguardo e guardare bene dove si mettono i piedi.
Paolo Sassi
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