Francia, una vittoria urbana?
La Francia ha eletto il suo presidente. E’ Macron, il più giovane capo di stato dell’Esagono dai tempi di Napoleone, l’artefice di uno straordinario miracolo politico, l’uomo che ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’intera Unione - “Una speranza si aggira per l’Europa”, ha twittato il nostro Presidente del Consiglio parafrasando Marx -, sancendo, almeno per ora, la vittoria del sogno dell’integrazione contro i sovranismi e i populismi del continente. Ecco perché, come ha scritto Riccardi, “le elezioni presidenziali in Francia hanno tenuto l’Europa col fiato sospeso (http://www.riccardiandrea.it/2017/05/ce-tanta-europa-nel-voto-francese.html?spref=tw)”.
Il successo di Macron sembra interessante anche per il modo con cui è maturato, per il contesto nel quale si è fatto strada. Quanto accaduto oltralpe segnala una tendenza più generale, che percorre molte delle democrazie occidentali e potrebbe accomunarle ancor di più nel futuro. Ovvero la tendenza a dividersi non più secondo una destra e una sinistra “classiche”, sul modello ereditato dall’Otto e dal Novecento, bensì all’interno di un altro schema, post-moderno, di un’altra dicotomia, quella tra apertura e chiusura alla globalizzazione. In una logica del genere i contesti più distanti dal nuovo che avanza, più esposti al fascino di un ritorno al passato, come ad esempio il mondo rurale, cercano di scendere dal treno della mondializzazione (e in Francia votano la Le Pen, ma anche Mélenchon). Mentre i contesti più efficacemente inseriti nelle “rapide della storia” (l’espressione è di Florenskij), più resistenti al disorientamento del “nuovo disordine globale”, più disposti a scommettere su nuovi orizzonti, come ad esempio il mondo urbano, si affidano a chi offre più speranza che paura, un “domani” che non sia la replica nostalgica dello “ieri” (in Francia Macron, appunto; che è stato capace di convincere l’elettorato come la vera protezione dal caos globale sia proprio più Europa e non meno: “E l’Europa a proteggerci”, ha detto).
Guardiamo i dati. Sono impressionanti. Lo erano già al primo turno. Quando Marine Le Pen aveva raggranellato la miseria del 4,99% dei voti a Parigi. Tanto il primo quanto il secondo turno hanno dimostrato la faglia che divide il voto della campagna da quello delle città”: Macron vince con l’89,68% nella capitale e il suo peggior risultato, nelle città con più di 100.000 abitanti è quello di Tolone (55,96%).
Il contrasto città-campagna è stato tipico di un’altra importante consultazione degli ultimi mesi, quella referendaria in Inghilterra. Anche lì Londra ed altre grandi città hanno optato per il “Remain” ed è stata la somma degli umori delle contee rurali d’oltre Manica a far pendere la bilancia, seppur di poco, per la “Brexit”.
Una vittoria urbana, quella francese, dunque? Sì, ma solo in parte.
La città ha optato per Macron. Ma non lo ha sposato entusiasticamente. Larga parte dell’elettorato lo ha scelto “per la paura del salto nel vuoto fuori dall’Eurozona proposto dalla Le Pen” (Capone). Ma una quota consistente dell’universo urbano - in particolare le periferie più disagiate - è ancora incerto sulla frontiera della globalizzazione. Magari non ama la retorica inconcludente del Front National, ma è diffidente verso delle “magnifiche sorti e progressive” che non sono propriamente dietro l’angolo.
Tutto ciò spiega “un altro indicatore molto interessante e peculiare di questa strana elezione”, ovvero “l’alto numero di schede bianche che raggiunge una percentuale e un numero assoluto da record: 4.066.802 di francesi hanno inserito una scheda bianca, pari al 11,49%o dell’elettorato”, ha scritto un attento osservatore della campagna delle presidenziali, Francesco Maselli (http://24ilmagazine.ilsole24ore.com/2017/05/il-nuovo-re-della-repubblica-francese/).
Se Macron e chi ama il sogno europeo può rallegrarsi del suo 90% dei voti espressi a Parigi, lui e tutti noi dobbiamo anche essere avvertiti di quanto accaduto nella cintura nord della Ville lumière, del 38,04% di astenuti a Saint-Denis, del 42,32% a Clichy-sous-Bois.
“Oggi l’Europa e il mondo ci guardano, […] il compito che ci aspetta è immenso e inizierà già domani”, ha dichiarato il nuovo presidente al Louvre, ai suoi sostenitori. E’ vero, il compito è immenso, riguarda tutti, è il compito dell’oggi.
Francesco De Palma
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