Un mondo senza armi nucleari: un’utopia possibile
Papa Francesco, rivolgendosi ai partecipanti al simposio
internazionale sul disarmo organizzato in Vaticano, ha invitato a non cedere al
“fosco pessimismo” che ci farebbe ritenere impossibile si possa realizzare “un
mondo libero dalle armi nucleari” come anche nel titolo del convegno che ha
raccolto in Vaticano diversi premi Nobel per la Pace, i vertici dell’Onu e
della Nato, organizzazioni della società civile e rappresentanti diplomatici di
diverse nazioni del nostro mondo. L’utopia è possibile e la condanna è ferma: «La
minaccia di usare le armi nucleari è da condannare con fermezza». Non solo.
Anche «il loro stesso possesso», perché
«la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le
parti in conflitto, ma l’intero genere umano» ha chiarito il Papa. Infatti «Le
relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare,
dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le
armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non
generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base
della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece
ispirarsi ad un’etica di solidarietà». Non è solo una condanna dettata da
motivazioni morali o ideali. Per il Papa «gli armamenti che hanno come effetto
la distruzione del genere umano sono persino illogici sul piano militare».
E’ vero. La storia ha insegnato che fra bluff e reali,
nonché ingenti investimenti, il costo della corsa (e rincorsa) agli armamenti
atomici ha portato ad una escalation non solo illogica, ma anche insostenibile
economicamente, con conseguenti minori investimenti per il benessere dei
cittadini. Per non parlare dei danni agli stessi e all’ambiente prodotti dagli
innumerevoli incidenti che hanno coinvolto gli armamenti atomici, le strutture
di stoccaggio e di sperimentazione, i mezzi di trasporto, con una lunga scia di
morte e contaminazione radioattiva, di cui poco l’opinione pubblica è cosciente
nel suo complesso. Infatti molta di questa storia andrebbe meglio conosciuta,
anche perché in gran parte rimasta nascosta per molto tempo.
A tale riguardo segnalo (non nuovo, ma sempre attuale...) l’interessante lavoro di Eric
Schlosser che ha raccolto nel libro “Comando
e controllo” il frutto di un lungo e paziente lavoro di inchiesta, raccolta di
documenti (molti da poco de-secretati), interviste agli addetti alla
manutenzione e alla gestione delle armi atomiche. Nel libro viene riportata
dettagliatamente la storia di un grave incidente avvenuto nel 1980 negli U.S.A,
in Arkansas, in un silo sotterraneo che ospitava un missile intercontinentale
con testata atomica, storia paradigmatica per dimostrare come la combinazione
di fallibilità umana e complessità tecnologica abbia messo più volte a
repentaglio la vita del genere umano. Infatti se la cronaca dettagliata
dell’incidente in Arkansas fa da elemento trainante del libro, spingendo il
lettore a leggere d’ un fiato tutte le 630 pagine del libro per vedere come va
a finire, i numerosi approfondimenti ci permettono di conoscere i 70 anni di
sviluppo degli armamenti atomici (nel 1945 l’ esplosione della prima bomba
atomica), da una prospettiva particolare. Non tanto quella della diplomazia e
dei trattati, della politica della guerra fredda e dell’escalation nella
proliferazione nucleare, quanto quella della teoria che governa la gestione
dell’arsenale atomico ed in particolare la gestione della sicurezza, ovvero del
preteso controllo in assoluta sicurezza, questo si veramente utopico, su queste
armi di distruzioni di massa. Ebbene si, non dimentichiamolo, tali sono
comunque le armi nucleari, anche se vengono definite tali quando sono
realizzate da qualche pazzo dittatore, mentre quando sono pronte per l’uso in
qualche paese nostro alleato sono giustificate come un necessario deterrente. Ma
questa è una mia considerazione. Il libro di Schlosser racconta di storie di uomini, di
imperdonabili leggerezze o negligenze e di atti di eroismo, di fatalità e
soprattutto di incidenti. Gravi e più numerosi di quanto si possa immaginare.
Uno dei più gravi capitato nella nostra Europa è stato quello accaduto a Palomares
in Spagna, nel 1966, quando un B-52 statunitense con quattro bombe all’idrogeno
B-28 è entrato in collisione con un aereo cisterna durante il rifornimento in
volo e i due velivoli sono entrambi precipitati. Tre bombe all’ idrogeno (bombe
H) caddero sul terreno nei pressi di Palomares, mentre la quarta cade in mare. Due
bombe rimasero quasi intatte, ma nelle altre l’esplosivo convenzionale di cui
erano dotate esplose spargendo plutonio e altro materiale radioattivo su una
vasta area. Poco male, se l’esplosione avesse innescato la bomba H i danni
sarebbero stati ben peggiori. Da notare che venti anni dopo negli abitanti
della zona si notavano ancora concentrazione di plutonio nelle urine di gran
lunga superiore ai livelli normali. Anche in Italia 4 missili Jupiter con
testate nucleari furono colpiti da un fulmine e il nucleo di due testate si riempì di trizio pronto ad innescare una reazione nucleare. Anche in questo caso la
fortuna volle che non siano esplose. Leggendo il libro si comprende che l’umanità
sia stata protetta innumerevoli volte, da una paterna protezione e anche dal
fatto che fortunatamente queste armi non esplodono poi così facilmente.
Ma due sole esplosioni hanno già prodotto troppo orrore e innumerevoli vittime. Papa Francesco nella conferenza ha richiamato proprio «la testimonianza degli Hibakusha, cioè le
persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure quella
delle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari: che la loro voce
profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!».
La voce di questi uomini e di queste donne non dobbiamo dimenticare e ci spinga e realizzare un mondo senza armi nucleari.
Marco Peroni
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