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Solidarietà a Mattarella. Il bisogno di chiarezza, di relazioni sociali e di competenza


Ha ragione Marco Damilano. E’ difficile svolgere in Italia il mestiere di cronista politico in questi tempi in cui prevale il dilettantismo politico e – aggiungo io – tanta irresponsabilità (non mi riferisco evidentemente soltanto alla recente richiesta, seppur informale, dopo poche ore ritirata, dell’impeachment nei confronti del Presidente della Repubblica).
Penso, tuttavia, che l’ondata di solidarietà verso il presidente della Repubblica Sergio Mattarella dilagata, oltre le forme istituzionali, poche ore dopo la sua dichiarazione, impone alcune considerazioni. Personalmente, ho assai apprezzato e pienamente condiviso la dichiarazione, con cui Mattarella domenica sera, ha ricordato la sua grande disponibilità e la sua estrema pazienza durante il lunghissimo tempo intercorso dal giorno delle elezioni (ottantaquattro giorni) e ben definito i motivi della sua fermezza finale su una questione sola ma cruciale: l’Europa. Tanti hanno rilevato l’onestà delle sue intenzioni e la gratitudine per l’uomo pubblico che quasi da solo, facendosi garante della Costituzione, difende gli interessi non di parte ma dell’intero popolo. Per questo sono da respingere i violenti attacchi politici che ha subìto, alcuni dei quali di una gravità inaudita in quanto relativi alla drammatica fine del fratello Piersanti, ucciso dalla mafia.


Difficile prevedere cosa accadrà nei prossimi giorni. Appare evidente – come ha giustamente sostenuto Tarquinio sulle pagine di Avvenire che la mancata nascita del governo del professor avvocato Giuseppe Conte risiede nel fatto che i due leader politici che ne avevano costruito a tavolino programma e compagine ministeriale, cioè Matteo Salvini e Luigi Di Maio, non l’hanno voluto più, esercitando “un attentato all’intelligenza degli italiani e, forse, anche ai loro portafogli”. Tuttavia, Mattarella ha avuto il pregio di far chiarezza: le forze politiche uscite vincitrici delle elezioni del 4 marzo 2018 vogliono l’uscita dell’Italia dall’Europa e dall’euro? Purtroppo, né prima né dopo le elezioni è venuta una risposta chiara. Forse, non arriverà neanche nelle prossime settimane. Servirà chiarezza e onestà nei prossimi giorni. Difficile averla in tempi veramente difficili dove assistiamo a quella che Recalcati ha definito l’“evaporazione della Legge della parola”, ossia ciò che custodisce la possibilità degli umani di vivere insieme. I sintomi di questa evaporazione – sottolinea Recalcati - sono sotto gli occhi di tutti: «essi attraversano l’intero corpo sociale: difficoltà a garantire il rispetto delle istituzioni, frana della moralità pubblica, eclissi del discorso educativo, caduta di un senso della vita condiviso, incapacità di costruire legami sociali creativi, trionfo di un godimento mortale sganciato dal desiderio... In primo piano non è tanto un indebolimento culturale delle leggi scritte sul Codice e sui libri di Diritto, ma del senso stesso della Legge della parola che, come la psicoanalisi insegna e come abbiamo visto, ha come suo tratto fondamentale quello di sostenere la vita umana come marcata da una mancanza, da un senso del limite, da una impossibilità di autosufficienza».
Lo storico Agostino Giovagnoli ha ricordato la vastissima solidarietà a Mattarella, venuta anche dal mondo cattolico organizzato. Tantissime Associazioni, movimenti, istituzioni culturali. In tal senso, importanti sono state le dichiarazioni del Card. Bassetti, a capo dei vescovi italiani, rappresentante di una Chiesa che non ha oggi bisogno di protezioni politiche, ma sente una responsabilità verso il Paese in un passaggio tanto difficile: «Ricordiamo a tutti come non basti nemmeno avere un governo per poter guidare il Paese. Occorre – questo Paese – conoscerlo davvero, conoscerne e rispettarne la storia e l’identità; bisogna conoscere il mondo di cui siamo parte e nel quale la nostra Repubblica – cofondatrice dell’Europa unita – è desiderosa di ritornare a svolgere la sua responsabilità di Paese libero, democratico e solidale». Non è in gioco la formazione di un governo, ma molto di più. E in molti momenti difficili per il Paese i cattolici italiani hanno sempre saputo dare il loro contributo per tracciare e percorrere la via diritta dell’autentico interesse nazionale, del vero «bene comune».


Tornando al tema iniziale, il nostro rapporto con l’Unione Europea, tra esperti, di idee ed opinioni contrapposte, è tempo di accantonare la logica delle contrapposizioni sterili, aiutando i cittadini a capire la posta in gioco. Spiegando loro senza ambiguità che, come ha detto ieri Mattarella, dobbiamo batterci per un’Europa all’altezza del proprio potenziale senza agitare illusioni pericolose e, soprattutto, porre fine a quella che a me ormai pare un conflitto civile strisciante a bassa intensità.
Adesso sembrano tutti concordi nel ritenere che l’uscita unilaterale dell’Italia dall’UE significherebbe di fatto fallimento del debito pubblico e rischio di fallimenti a catena di imprese e famiglie, perdita di valore di risparmi e di potere d’acquisto con costi elevatissimi pagati soprattutto dai più deboli. Chi di noi concedendo un prestito in euro si accontenterebbe di riceverlo con un’altra moneta? Ha ragione l’economista Leonardo Becchetti: «Il problema dell’Italia non è l’euro. Siamo uno dei maggiori esportatori mondiali e abbiamo 4-5 Regioni del nord che viaggiano a ritmi tedeschi e sono vicine alla piena occupazione (con – o, se si vuole, nonostante – l’euro). Il problema sono i ritardi di vario tipo del sistema Paese». La sovranità monetaria non è la panacea di tutti i mali. Dimenticando  - ricorda Becchetti - che «la storia economica recente è piena di episodi di fallimenti, iperinflazioni e crisi economiche di Paesi che battono autonomamente moneta. E che i salari non salgono non a causa dell’euro, ma perché nella globalizzazione la concorrenza del lavoro a basso costo è fortissima e non c’è sovranità monetaria o valutaria che tenga. Altrimenti negli Stati Uniti (Paese supersovrano) quei lavoratori se la passerebbero molto meglio che da noi». E’ evidente a tutti quanto l’Unione Europea abbia fatto moltissimi errori.  Serve, pertanto, una nuova fase politica che deve essere caratterizzata da toni quanto meno adeguati (per non dire civili), caratterizzata dall’ascolto e soprattutto con una chiamata alla responsabilità sociale di esperti ed addetti ai lavori. Giustamente nessuno vorrebbe che a decidere sulla propria salute e su quale farmaco assumere sia il voto popolare e non il medico, ma in economia e finanza purtroppo è così. Serve anche intraprendere lo sforzo dello studio. Non è sufficiente leggere le notizie, esse non fanno la conoscenza. Respingiamo il rifiuto di riconoscere un valore alla competenza (uno dei tratti distintivi del populismo). C'è un deficit di pensiero nella nostra società. Bisogna anche studiare - sostiene Andrea Riccardi - pensare, insegnare ad amare il libro, la cultura. Educare e pensare, non solo esaltare «il fare».

Antonio Salvati

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