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Erdogan l’africano


In un post di alcuni mesi fa - pubblicato su questo blog - raccontavamo quanto la politica internazionale non è in cima ai pensieri della maggior parte degli italiani, pur vivendo in un mondo sempre più interconnesso e globalizzato. Eppure, la politica estera del nostro paese negli ultimi anni è stata caratterizzata da un nuovo slancio della cooperazione allo sviluppo e della sua politica e il nuovo posizionamento italiano nella fascia sahariana-saheliana. Come ha raccontato più volte Mario Giro negli ultimi anni l'Italia ha rivolto una rinnovata attenzione verso l'Africa “con una strategia che da un lato punta ad ampliare e rafforzare le relazioni commerciali con i Paesi africani, aprendo la strada a una maggiore internazionalizzazione delle imprese italiane per cogliere le tantissime opportunità offerte da un continente in piena espansione demografica ed economica. Dall'altra, a stringere un nuovo partenariato che porti nuovi investimenti privati, contribuisca allo sviluppo e aiuti così a gestire l'ondata migratoria che dall'Africa sub-sahariana approda in Libia per poi premere sulle frontiere esterne dell'Ue, con l'Italia in prima linea - spesso lasciata sola - nella gestione degli sbarchi”.
Nel contratto firmato da Lega e 5 Stelle, contenente le linee guida dell’attuale governo italiano, il termine “Africa” non è presente. Solitamente i nostri politici delle questioni internazionali non parlano. Non sembra esserci all’orizzonte la creazione di un progetto di integrazione economica che potrebbe essere all’origine della formazione di una grande area di libero scambio (una specie di “Comunità degli Stati del Mediterraneo”) in tutta l’area del Mediterraneo. 


Pochi sanno delle mire egemoniche del presidente turco Erdogan, l’uomo forte del paese dopo quindici anni, verso l’intero continente africano. Lo dimostrano le sue frequenti visite negli ultimi anni soprattutto nell’Africa subsahariana. Un continente giovane, con prospettive di crescita, con una piattaforma culturale potenzialmente affine alle mire di Ankara, soprattutto grazie agli appoggi della Fratellanza Musulmana e del Qatar, stretto alleato della Turchia.
Erdogan – che domenica dovrà sostenere nuove elezioni presidenziali e parlamentari - è da anni convinto che l’Africa possa rappresentare per il suo Paese una straordinaria opportunità per affermare un nuovo espansionismo. Spiega Giulio Albanese “da una parte sono evidentissimi gli interessi economici, dall’altra occorre tenere in considerazione il quadro geostrategico che il leader turco ha in mente, dalla duplice valenza politica e religiosa”. Centrale nella politica estera turca è l’area del Corno d’Africa per penetrare nelle rotte commerciali mondiali che toccano quei Paesi. Nello scorso dicembre, il presidente turco e quello sudanese, hanno concluso un’intesa per la costruzione di un cantiere navale turco nell’isola di Suakin. Un progetto che rievoca gli antichi fasti dell’impero ottomano, quando il sultano Selim I, nel 1517, indicò l’isola sudanese come base per i traffici commerciali nel Mar Rosso, dove oggi passano circa 3.3 milioni di barili di petrolio al giorno. Infatti, alcune potenze mondiali sono impegnate nella militarizzazione della costa africana, in particolare a Gibuti e in Somalia, per ottenere punti di controllo sulle rotte mercantili.


Giulio Albanese, sulle pagine del quotidiano Avvenire, individua nel 2008 l’inizio del successo delle relazioni turcoafricane quando la Turchia fu dichiarata partner strategico dell’Unione Africana (Ua). Nell’agosto dello stesso anno, “al termine del vertice per la cooperazione Turchia-Africa, con la partecipazione di 49 Stati africani, fu avviato un processo di cooperazione stabile e duraturo sancito dall’adozione della Dichiarazione di Istanbul. È evidente che la cooperazione con l’Africa per Erdogan è un obiettivo a tutto campo che coinvolge anzitutto la diplomazia, come dimostra il fatto che ha intenzione di incrementare il numero delle rappresentanze diplomatiche nel continente, portando – entro tre anni – le ambasciate dalle attuali 41 a 54”. Questo forte attivismo turco sta creando problemi anche all’Impero del Drago, da tempo trapianto nel continente africano. Emblematico quanto accaduto in Tanzania dove imprese turche realizzeranno la linea ferroviaria di 522 chilometri che collegherà presto Dar es Salaam alla capitale Dodoma. L’attuale presidente tanzaniano John Magufuli, eletto nel novembre 2015 e diffidente nei confronti delle commesse cinesi, ha rotto l’accordo che il suo predecessore aveva stipulato con la Exim Bank di Pechino, che prevedeva un finanziamento di 7,6 miliardi di dollari. Erdogan si è recato personalmente in Tanzania e il governo tanzaniano ha sottoscritto un contratto con la società turca Yapi Merkezi (nelle intenzioni del governo il nuovo binario potrà essere inaugurato già nel 2019).
Dunque, mentre alcune potenze mondiali, tra le quali la Cina, stanno ripensando e ricercando il loro ruolo in Africa in relazione alle importanti ricchezze del suo sottosuolo, Erdogan non intende essere da meno, rafforzando la cooperazione bilaterale commerciale e militare con commesse da milioni di dollari. Un nuovo attore di peso in Africa con un’attenzione anche nella regione del Sahel, dove Ankara ha deciso di allestire un nuovo dispositivo militare congiunto con i governi del Mali, della Mauritania, del Burkina Faso, del Niger e del Ciad. Da rilevare - avverte l’esperto di cose africane Albanese - che in questo contesto l’Unione Europea, tanto preoccupata per il fenomeno migratorio dalla sponda africana, continua a sottovalutare il ruolo di Erdogan, sempre più Gran Pascià d’Africa.

Antonio Salvati

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