Dal top-down al bottom-up: è l'era della "popolocrazia" ...
Si sono svolte di recente a Torino, al Salone Internazionale del Libro, e a Roma, alla Società Dante Alighieri, con la partecipazione di uno dei due autori, nel primo caso Ilvo Diamanti, nel secondo Marc Lazar, le presentazioni del volume a quattro mani “Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie”, edito da Laterza.
Difficile immaginare un libro più attuale, mentre ci interroghiamo sull’evoluzione dei sistemi politici occidentali, sull’oggi della democrazia. Ché “la democrazia, in Europa, si sta trasformando in ‘popolocrazia’ - così Diamanti un anno fa su “Repubblica -. “Perché il ‘demos’, il principio della cittadinanza, titolare di diritti e doveri, tende a venire ri-definito in ‘popolo’. Comunità indistinta, unita dai confini e dai nemici. I nuovi ‘populisti’, emersi nell’ultima fase della nostra storia, condividono, infatti, l’avversione verso i ‘capi’, le burocrazie. Verso gli stranieri. Verso gli islamici. E verso l’Europa. O meglio, verso la UE”.
Ma ragionando sul libro si è andati oltre.
Lazar ha sottolineato come i populismi offrano risposte semplici ed immediate a questioni complesse e la cui soluzione è prevedibilmente legata ai tempi lunghi della società e della cultura. Ma la tentazione di fidarsi di un approccio più sbrigativo è forte. Tanto più che, se “avevamo la democrazia dei parlamenti; poi dei parlamenti e dei partiti; poi la democrazia del pubblico, ora, grazie al digitale, abbiamo una democrazia non più ‘top-down’ (il comizio, la radio, la tv), bensì ‘bottom-up’ (la rete web). La democrazia non è più mediata, ma im-mediata”: il cortocircuito tra problematiche complesse e non inquadrate dalla classe politica, da una parte, e il desiderio di scenari più dominabili, è facile a scattare.
Al punto da farci porre la domanda: “Riuscirà la democrazia a cambiare il populismo? O sarà il populismo a trasformare le istituzioni?”. Perché, in un mondo globalizzato popolato di solitudini, “gli spiriti si stanno populizzando”, ha sottolineato Andrea Riccardi. I populismi, in effetti, “riempi[ono] un cuore vuoto” come ha affermato Paul Taggart. Un fenomeno che in Italia si colora di aspetti peculiari, legati allo storico provincialismo del Bel Paese, al “sentirsi periferici rispetto ai centri, ai luoghi e ai gruppi che contano” (Diamanti), all'affermarsi di quei sentimenti di rancore e vittimismo di cui ha parlato non molto tempo fa Giuseppe De Rita.
La sfida è complessa ed è il nostro Paese a dover trovare una strada verso il futuro.
Francesco De Palma
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