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Per non essere "prigionieri del presente" ...

In un agile volumetto edito da Einaudi, Giuseppe De Rita e Antonio Galdo analizzano la rivoluzione antropologica e le tendenze che plasmano il nostro tempo e propongono una via d’uscita fondata su una presa di coscienza e su un cambiamento vero perché cambiamento del Sé. “Prigionieri del presente. Come uscire dalla trappola della modernità”, ecco titolo e sottotitolo dell’opera in questione, un vademecum di grande utilità per comprendere meglio le sfide che abbiamo davanti, per vincere lo spaesamento e la rassegnazione. 

Il libro parte dalla fine del rapporto privilegiato dell’Occidente col tempo lineare, quello che si muove in una direzione, verso il futuro, verso il progresso, e dalla ormai evidente “sottomissione” a un tempo circolare, che ruota attorno a me (e attorno al presente), “frantumato in un’incessante sequenza di attimi”. La cronaca, allora, seppellisce la storia. Le emozioni vincono sulla razionalità e persino sugli interessi reali. La politica perde la sua capacità di trasformazione dell’esistente per farsi “sovrapposizione di slogan”, pura comunicazione, alla fin fine “sconfitta dell’umanesimo”.
Nelle società occidentali regna il presente, “l’ora e subito”, una superficialità dettata dall’atomizzazione dei corpi che le costituiscono. Il presentismo porta a non affrontare mai nessun tema complesso in modo articolato, come si dovrebbe, bensì a cercare la soluzione semplice, veloce, per certi versi magica. 
E’ un processo che domina il dibattito culturale e le dinamiche quotidiane anche per colpa di un dato sempre più allarmante: la progressiva pauperizzazione del linguaggio, l’inarrestabile progresso dell’analfabetismo funzionale, quello di chi legge e scrive, “ma non è in grado di collegare tutto ciò e usarlo nella vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri”. Come dicono De Rita e Galdo, "si tratta di milioni di uomini e donne che “risultano incapaci di ‘intervenire attivamente nella società e nella politica’”.
Si intuisce la vastità del problema, che a chi scrive sembra “il” problema dei problemi, l’ostacolo che si frappone davanti a ogni speranza di una società meno irrazionale, umorale, alla mercé delle fake news e dei cori da stadio. E del resto già don Milani sosteneva che chi non è in grado di leggere un  giornale è un cittadino a metà.
Ma - e questo va a onore degli autori - lo sguardo gettato sul nostro mondo da De Rita e Galdo non è pessimista. Entrambi credono alla possibilità di un riconnettersi delle tante individualità che costituiscono il corpo sociale, di un recupero della dimensione dell’“attesa”, che vuol dire impegno e fiducia nella costruzione del futuro - “L’attesa è azione”, scrivono -. E’ in questa prospettiva che muovono due belle citazioni che impreziosiscono alcune pagine del volume, l’invito di Descartes: “Quando le cose non vanno come desideriamo, più che cambiare il mondo, ognuno di noi inizi a cambiare se stesso”, e il monito di Camus: “Il senso della vita è resistere all’aria del tempo”. 
Ecco, per uscire dalla trappola della modernità la via maestra passa dalle nostre scelte quotidiane, dai nostri stili di vita, dal nostro rifiuto della paura, del rancore e del narcisismo, dalla nostra capacità di resistenza di fronte a un mainstream circolare, a un gorgo che rischia di inghiottire la società che abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto. 

Francesco De Palma

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