Ultime news

"Piena di illusioni la gente marcia verso l’inferno": il gulag delle Solovki in un grande romanzo russo ...

La madre di tutti i campi di lavoro sovietici è un antico monastero sulle isole Solovki, nel Mar Bianco. Quando c’è il sole il luogo è bellissimo. Mura di pietra, edifici bianchi coi tetti verdi. Secoli fa alcuni monaci russi, sul modello degli eremiti del deserto, si ritirarono in quei luoghi inospitali, edificarono chiese, celle, strutture per servizi più complessi, un sistema di fortificazioni. Quelle mura furono espropriate dai bolscevichi all’indomani della Rivoluzione d’Ottobre per impiantarvi la prima colonia penale sovietica. In vent’anni un milione di detenuti, la gran parte morti di freddo, di malattia, fucilati. 
Juri Brodski, autore di un libro sulle Solovki, scrive: “I prigionieri per la notte si distribuivano a strati, uno sull’altro, e in cima a tutto per coprirsi ponevano i vestiti che venivano dati loro. Non erano rari i casi in cui, durante la notte, quelli che capitavano in fondo morivano soffocati. Tuttavia tale sistema permetteva alla maggioranza dei prigionieri di sopravvivere”.
Questo episodio si ritrova tal quale nel romanzo che Zachar Prilepin, scrittore discusso ma dalle indubbie qualità letterarie, nazionalista, nostalgico dell’Urss, e insieme capace di cogliere qualcosa di profondo nei suoi personaggi, ha dedicato proprio alle Solovki, “Il monastero”. Ambientato nel 1929, il lungo (704 pp.), ma davvero avvincente volume descrive, attraverso la prospettiva di un detenuto comune, benché colto, benché moscovita, ovvero Artëm, i tanti sommersi e i pochi salvati del sistema che preparava i gulag. 
Il romanzo - ripeto - è affascinante, centinaia di pagine che rimandano a Dostoevski, Grossmann, Solzenicyn: una narrazione che ruota attorno ad Artëm, incarcerato per parricidio, e pian piano si allarga a decine tra cekisti, controrivoluzionari, poeti, religiosi, delinquenti dei bassifondi. Il risultato è un racconto puntuale e potente, a più voci, vivido e immaginifico. Un piccolo capolavoro.
Gran parte delle figure che si muovono sulla scena del libro corrispondono a uomini e donne realmente vissuti nel contesto delle Solovki. Su di esse l’autore si è ampiamente documentato, soggiornando nelle isole e recuperando tutte le informazioni possibili. Il deuteragonista è Ejchmanis, ispirato al reale fondatore di quel gulag. E’ lui a fare da controcanto alle atrocità che si svolgono nel monastero e nelle isole circostanti, a sottolineare da una parte che le Solovki sono state per secoli prigione e luogo di tortura - e quindi c’è come una tragica continuità nella storia russa -; dall’altra a testimoniare il sogno che pure era alla base di quell’esperienza, il drammatico e presto fallimentare ideale di creare l’uomo nuovo. Prilepin non giustifica nulla, ma mostra la storia nella sua tragica complessità. 
Racconta: “Pensavo di scrivere un racconto, al massimo un romanzo breve. Poi ho iniziato a documentarmi e ho scoperto una quantità straordinaria di storie incredibili, in cui cekisti e anticekisti, rivoluzionari e controrivoluzionari, russi, ortodossi, musulmani, caucasici, polacchi, entrano nelle più complicate e varie forme di interrelazione. Questo non è un libro sul gulag. Il gulag nasce dopo le Solovki. Nel mio romanzo c’è la storia della prima fase del sistema penitenziario sovietico. C’era l’idea di forgiare l’uomo nuovo. E’ fallita. Hanno perso. Hanno prodotto solo una poltiglia sanguinolenta. Ma per me era importante capire dove fosse l’inizio, come tutto ciò succeda un passo dopo l’altro. Piena di illusioni la gente marcia verso l’inferno. E’ questo che trovo interessante”.
“Il monastero” non è un romanzo di formazione. Artëm cerca di sopravvivere, ma alla fine è un granello di polvere finito in un ingranaggio terribile che “marcia verso l’inferno”, pensando di poter indirizzare la storia e generando invece una montagna di sofferenza, avvitandosi a vuoto in una follia di cui l’acuto e continuo stridere dei gabbiani - così ben descritto da Prilepin - rappresenta perfettamente.

Francesco De Palma

Nessun commento