L’ultima notte di Willie Jones
Tempo
di Natale e tempo di regali. Mi piace regalare e ricevere libri. Per le
festività mi permetto di suggerirne uno. Si tratta dell’ultimo romanzo di Elizabeth
H. Winthrop, L’ultima notte di Willie
Jones, L’autrice affronta magistralmente il tema della pena di morte,
accanto alle questioni eterne della giustizia, della colpa e del perdono. Il
protagonista del romanzo, Willie, ha diciotto anni, nero e condannato a morte
per un delitto che forse non ha commesso: lo stupro di una ragazza bianca. È il
1943, siamo in una contea della Lousiana, caratterizzata dalla miseria, che
sembra non dar scampo, e oppressa dal Ku Klux Klan.
Il
romanzo inizia con la Feroce Gertie,
nomignolo della sedia elettrica, destinata a Willie, in viaggio da Angola a
Martinesville su un furgone guidato da Lane, un ex detenuto. Frank, il padre di
Willie, cerca disperatamente e con ogni sforzo di raggiungere il figlio per
vederlo un’ultima volta, trasportando a dorso di mulo una pietra tombale che
non sarà mai in grado di pagare. Diversi personaggi fanno da contorno alla
vicenda. Vivono tutti in un ambiente corrotto dal pregiudizio, compiendo anche
scelte terribili. Oltre al protagonista Willie, ci sono Dale, meccanico della
stazione di servizio, la moglie Ora, il cui unico figlio combatte nel Pacifico.
C’è anche il procuratore distrettuale Polly, padre del piccolo Gabe, che ha
comminato la condanna: deve fare i conti con la propria coscienza e con sua
moglie, Nell, che non riesce più a guardarlo in faccia. Le loro storie si
sovrappongono, talvolta si sfiorano, nelle ore che precedono l’esecuzione.
Brevi capitoli dedicati ai vari protagonisti attraverso una successione di
momenti e azioni scandiscono l’inesorabile passare del tempo e l’inevitabile
avvicinarsi dell’ora fatale, fissata alla mezzanotte. L’ambientazione e le
caratteristiche dei personaggi richiamano facilmente un classico della
letteratura contemporanea, Il buio oltre
la siepe di Harper Lee, che si svolge in un altro Stato del Sud, l’Alabama,
negli anni Trenta.
Willie
Jones è rinchiuso in carcere da otto mesi. Ha avuto modo di ripensare
intensamente la vita trascorsa, «ma qui
dentro è come anestetizzato, sente solo ondate di tristezza, senso di colpa e
paura. Batte le palpebre. La sua cella ha diciotto sbarre. Dieci sbarre alla
finestra. Sei macchie di umidità sul soffitto. Centoventi piastrelle sul
pavimento. Il ritmo delle gocce che cadono dal rubinetto è variabile, ma
continuo. Gocciolerà anche dopo mezzanotte, quando lui sarà morto. Gli si
annebbia la vista. Otto mesi qui dentro gli sono sembrati più lunghi di tutta
la vita vissuta prima. Ricorda quella vita, ma non ricorda cosa provava
vivendola. Sa che quando tornava a casa c’erano un piatto caldo e un letto
comodo ad aspettarlo, ma non riesce a sentire il sapore del cibo di sua madre o
la sensazione del materasso che s’infossava sotto il suo peso. Sa che gli
piaceva camminare scalzo nel fango, ma non riesce a sentire l’umidità
appiccicosa tra le dita dei piedi. ... È come il ricordo del dolore dopo che il
dolore è passato. È solo un ricordo. Il dolore non c’è più».
Frank
sopporta sforzi immensi per raggiungere in tempo la prigione portando a dorso
di mulo una lapide che non finirà mai di pagare. Gli è costata ottantacinque
dollari, frutto in buona parte di un prestito in cambio di un misero raccolto
di cipolle insieme alla promessa di qualche lavoretto, ma almeno il suo figlio
minore avrà una lapide.
Non
solo individui corrotti dal pregiudizio e che compiono scelte terribili, ma
anche persone che si sforzano di restare umani, di dimostrare umanità, anche se
fondamentalmente siamo pieni di paradossi, come Padre Hannigan che «pensa a Willie, ai suoi fervidi tentativi
di prepararsi a una morte contro cui non ha mai protestato, pur avendo negato
chiaramente il crimine. Lo rivede il giorno che si erano conosciuti, quando
Willie l’aveva chiamato agitando le braccia esili fuori dalle sbarre della cella
per chiedergli una Bibbia» .
Si
giunge all’ultima notte di Willie. Gli è consentito salutare il padre: «respira a fondo l’odore della pelle di
suo padre, l’incavo tra i suoi occhi combacia alla perfezione col muscolo della
spalla del vecchio. Sente le dita di suo padre sul cranio, ciascuna è un rassicurante
punto di pressione che tiene Willie vicino, lo stringe a sé. Si arrende, si
lascia abbracciare, anche se è impacciato dalle manette ai polsi. Tra le
braccia di suo padre tutto scompare – il caldo, le centinaia di persone attorno
a loro, la sedia che l’aspetta, il suo destino. Per la prima volta da quand’è
stato accusato, Willie si sente al sicuro. Preme la testa contro la spalla di
suo padre, la preme forte, con tutto il peso del suo amore» . Cosa guarda,
cosa pensa e soprattutto come vive le sue ultime ore di vita Willie Jones?
Aveva pensato di prendere la Bibbia che gli aveva dato padre Hannigan mesi fa,
di leggerla e meditarla, ma «alle storie
della Bibbia non ci crede, anche se ci ha provato – ha letto la Bibbia, ha
pregato, ha fatto tutte le cose che fanno i cristiani, sperando di credere.
Volendo credere. Sarebbe tutto più facile se credesse, ma non trova alcun
conforto nella religione, nei libri di cui vive sua madre. E così resta
sdraiato sulla branda, guarda la cella riempirsi della luce dorata della sera e
aspetta. È stanco di aspettare» .
Fuori
dalle mura carcerarie esiste un mondo che separa bianchi e neri, con una
giustizia inflessibile, che ammette l’esistenza di «quella sedia di legno dallo schienale dritto che sembrava anche innocua
se non fosse stato per le cinghie di cuoio sui braccioli e la sbarra di legno
tra le due gambe davanti. Vedendola si era stranito; si aspettava una specie di
apparecchio metallico con cavi elettrici e manopole. Il fatto che la sedia
sembri solo una sedia lo turba. C’è qualcosa di profondamente sinistro nella
sua semplicità» . Anche una giustizia che si scopre piena di perplessità,
ripensamenti dubbi. Polly, il procuratore distrettuale, è alle prese con la sua
coscienza e «s’immagina il tribunale
nelle vicinanze e Willie Jones nella sua piccola cella. L’ultima volta che l’ha
visto è stato alla lettura della sentenza. Il ragazzo non aveva battuto ciglio.
Aveva ascoltato il verdetto del giudice con la stessa espressione sconcertata
che aveva avuto durante tutto il processo, come se non potesse credere a quello
che stava succedendo» . «Fa male?»,
chiede a Polly il figlio Gabe, incalzandolo. «”Cosa fa male?” Sa a cosa si riferisce Gabe, e sa la risposta. L’ha
già visto una volta, quando ha assistito in vesti ufficiali all’ultima
esecuzione a morte …, circa undici anni fa. Ricorda ancora il sussulto del
corpo, gli arti che tremavano, la pelle d’oca sulla pelle liscia. Da allora
quell’immagine non gli dà pace e ha il terrore di doverla vedere anche stasera,
questa volta sapendo che ne è responsabile». «La sedia»…«È veloce. Troppo veloce
per far male» .
La
descrizione dell’esecuzione, fatta con equilibrio e delicatezza, vede coinvolti
una serie di persone che recitano un rituale, in parte loro incomprensibile,
attorno a chi ha un destino già scritto. La “procedura” scandisce attraverso
una successione di momenti e azioni l’inesorabile passare del tempo e
l’inevitabile avvicinarsi dell’ora fatale per il nostro protagonista, fissata
alla mezzanotte. La sedia è contro la parete. È mastodontica e fa sembrare la
stanza ancora più piccola. «Aspetta come
un grembo aperto, le cinghie di pelle e le fibbie che stringeranno Willie
penzolano da entrambi i lati. Sulla parte alta c’è una corona di metallo e
maglia e un bavaglio di cuoio è appeso allo schienale. La Feroce Gertie, per
l’appunto. Tra le sue braccia sono morti ventidue uomini. Anche una donna, che
aveva pianto quando aveva saputo che le avrebbero rasato la testa». Gli
agenti legano i bicipiti di Willie sui fianchi e poi allo schienale della
sedia. Gli legano saldamente i polsi ai braccioli. Un’altra grossa fibbia gli
cinge la vita, e molte altre le cosce e i polpacci. Nel frattempo, Willie resta
seduto immobile, passivo e arrendevole, anche se i suoi occhi si muovono per
quella che dev’essere paura .
Inizia
l’esecuzione. L’autrice s’immedesima efficacemente nel corpo e nella mente del
poveretto: «fa male, ma non importa. Il
buio improvviso è un sollievo dopo tutto il fermento attorno a lui, dopo
l’allacciare e il legare e lo stringere e l’agganciare, dopo l’oscillare
nauseante di tutte le persone presenti come su una grande altalena, che si
allontanano e poi si fanno così vicine che le sente respirare. Resta seduto al
buio e sente il cuore rallentare, il respiro farsi regolare. Sta sudando, ma
allo stesso tempo ha freddo. Comincia a prudergli un punto sulla gamba, ma non
può muovere il braccio per grattarsi. È a questo che pensa mentre è là al buio:
al prurito alla gamba. Il prurito alla gamba; non c’è nient’altro, nel buio. E
poi un milione di aghi e di spilli cominciano a bucargli la pelle in ogni punto
del corpo – una sensazione che non capisce subito. S’immagina gli agenti con
degli spilli attaccati alle dita, che lo infilzano, o forse lo stanno colpendo
con delle pale munite di aghi. Cerca di gridare ma non riesce a muovere la
lingua, che è come una palla di piombo nella sua bocca, immobile e fredda. E
poi nell’oscurità compaiono delle chiazze di luce, delle macchioline blu, verdi
e rosa, e Willie pensa che ora stiano infilzando anche il cappuccio e gli viene
in mente il cielo di notte, le stelle simili a piccoli fori, dei puntini di
luce come questi che gli riempiono la vista, spuntando e scoppiettando mentre
gli aghi tempestano il cappuccio, gli tempestano la pelle, sempre più forte e
sempre più in profondità finché sente il proprio grido riecheggiargli nella
testa e capisce finalmente che è arrivato il momento, che sta proprio morendo»
.
L’autrice
al termine del romanzo ci informa che pur essendo un’opera di narrativa,
L’ultima notte di Willie Jones si basa su fatti realmente accaduti. Il
personaggio di Willie Jones è liberamente ispirato a due persone: Willie McGee,
accusato di aver violentato una donna bianca e giustiziato nel 1951 sulla sedia
elettrica nello Stato del Mississippi, e Willie Francis, accusato di aver
ucciso un bianco e la cui esecuzione, fallita nel 1946, fu portata a termine
con successo nel 1947.
Antonio
Salvati
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