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Cuori inquieti. I giovani nella Bibbia


Da genitore inquieto non potevo non essere catturato dal volume Cuori inquieti. I giovani nella Bibbia, del cardinale Gianfranco Ravasi. Con le sue note e profonde competenze storiche e linguistiche, Ravasi ci consegna una galleria di giovani personaggi dell'Antico e del Nuovo Testamento, tra figure note (Isacco offerto in olocausto da Abramo) e quelle meno note, fino ai cosiddetti anni nascosti di Gesù, carpentiere e poi rabbì itinerante originario di Nazaret. Ravasi ricostruisce molte vicende delle Scritture in cui i giovani si misurano con i vecchi, come nel caso di Salomone, il re famoso per la sua saggezza, e del figlio Roboamo, inesperto e incapace di governare. In questa carrellata di figure giovanili sono affrontate tutte le questioni che ancor oggi riguardano le odierne giovani generazioni. Si va dalla ribellione alla rigida disciplina, dall’innamoramento alla violenza sessuale, dalla bellezza alla sapienza, dalle incomprensioni tra fratelli all’eredità, dalla nostalgia per il tempo che fu al rapporto con gli anziani, e via dicendo.

L’adolescenza non è una patologia che dobbiamo combattere. Lo ha ricordato più volte anche Papa Francesco. Fa parte della crescita normale, naturale della vita dei nostri ragazzi. «Dove c’è vita c’è movimento, dove c’è movimento ci sono cambiamenti, ricerca, incertezze, c’è speranza, gioia e anche angoscia e desolazione», afferma Papa Francesco. Anche l’inquietudine è connaturata a questa fase della vita: «So che c’è qualcosa, nei vostri cuori, che vi rende inquieti, perché un giovane che non è inquieto è un vecchio», disse il Papa nel luglio del 2016.
Ravasi, un fine filologo, da tempo ci ha abituato all’amore per le parole, indagando sulla loro origine. La parola più usata nell’Antico Testamento, dopo il nome divino Jhwh (“Jahweh”), è ben, cioè “figlio”. Significativamente È interessante – osserva Ravasi - che questo vocabolo ben deriva dal verbo ebraico banah che significa “costruire, edificare”.
Decisamente interessante la parte consistente del volume dedicata a Gesù giovane. Facendo leva sui pochissimi cenni tratti dai Vangeli, Ravasi sottolinea che Gesù non è stato solo bambino ma anche adolescente e giovane: Morì poco più che trentenne, un’età oggi considerata giovanile. Partendo dall’episodio di Gesù dodicenne al tempio tra i dottori, «una sorta di bar-mizvah» che nella cultura giudaica significava l’ingresso nella giovinezza, con l’ammissione al culto e all’osservanza della Torah, si arriva a precisare alcune questioni aperte, dal mestiere praticato (falegname o carpentiere?) alle lingue che parlava (aramaico, ebraico e anche greco?). Sapeva leggere e scrivere? Aveva fratelli o sorelle? Era sposato?
Com’è noto, nell’ottobre scorso, si è tenuto il Sinodo dei Vescovi sui Giovani, fortemente voluto dal Papa. La presenza dei giovani al Sinodo ha segnato una novità, coinvolti fin dall’inizio nel processo sinodale. L’episodio dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) è un testo paradigmatico per comprendere l’impegno della Chiesa in relazione alle giovani generazioni. Esprime bene ciò che «il Cristo eternamente giovane» ha insegnato in rapporto ai giovani. Gesù cammina con i due discepoli, è in loro compagnia, percorre la strada con loro. Si mette in paziente ascolto, li aiuta a riconoscere quanto stanno vivendo, dando loro un senso agli eventi che hanno vissuto. L’ascolto è un incontro di libertà, che richiede umiltà, pazienza, disponibilità a comprendere, impegno a elaborare in modo nuovo le risposte. L’ascolto trasforma il cuore di coloro che lo vivono. Non è quindi solo una raccolta di informazioni, né una strategia per raggiungere un obiettivo, ma è la forma in cui Dio stesso si rapporta con coloro che si pongono in ascolto. Significativamente Paolo VI disse: «Molti oggi parlano dei giovani; ma non molti, ci pare, parlano ai giovani».
Papa Francesco, il 19 giugno 2017, aprendo i lavori del convegno diocesano di Roma, a proposito dei giovani invitava a seguire il ritmo della loro crescita per «aiutarli ad acquisire autostima, a credere che realmente possono riuscire in ciò che si propongono». Aggiungeva che questo processo esige di sviluppare in maniera simultanea e integrata i diversi linguaggi che ci costituiscono come persone, ossia insegnare ai nostri ragazzi a integrare tutto ciò che sono e che fanno. «Potremmo chiamarla una alfabetizzazione socio-integrata, cioè un’educazione basata sull’intelletto (la testa), gli affetti (il cuore) e l’agire (le mani). Questo offrirà ai nostri ragazzi la possibilità di una crescita armonica a livello non solo personale, ma al tempo stesso sociale. Urge creare luoghi dove la frammentazione sociale non sia lo schema dominante. A tale scopo occorre insegnare a pensare ciò che si sente e si fa, a sentire ciò che si pensa e si fa, a fare ciò che si pensa e si sente. Cioè, integrare i tre linguaggi. Un dinamismo di capacità posto al servizio della persona e della società. Questo aiuterà a far sì che i nostri ragazzi si sentano attivi e protagonisti nei loro processi di crescita e li porterà anche a sentirsi chiamati a partecipare alla costruzione della comunità».
Vogliono essere protagonisti. Allora «diamo loro spazio perché siano protagonisti, orientandoli – ovviamente – e dando loro gli strumenti per sviluppare tutta questa crescita. Per questo ritengo che l’integrazione armonica dei diversi saperi – della mente, del cuore e delle mani – li aiuterà a costruire la loro personalità. Spesso pensiamo che l’educazione sia impartire conoscenze e lungo il cammino lasciamo degli analfabeti emotivi e ragazzi con tanti progetti incompiuti perché non hanno trovato chi insegnasse loro a “fare”. Abbiamo concentrato l’educazione nel cervello trascurando il cuore e le mani. E questa è anche una forma di frammentazione sociale».

Antonio Salvati

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