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Pena di morte nel mondo. Diminuiscono le esecuzioni


Il rapporto di Amnesty International sull’uso della pena di morte nel 2018 evidenzia nuovamente che la tendenza globale all’abolizione dell’ultima punizione crudele, inumana e degradante prosegue con notevoli passi in avanti, nonostante i passi indietro compiuti da un piccolo numero di paesi. Sorprende il calo del numero delle esecuzioni documentate. Esso è calato del 30% e ha raggiunto il valore più basso registrato negli ultimi dieci anni. Significativa riduzione delle esecuzioni complessive in alcuni di quei paesi che, come Iran, Iraq, Pakistan e Somalia, sono annoverabili fra quelli che eseguono più condanne a morte. Similarmente, anche il numero dei paesi che hanno eseguito sentenze capitali si è ridotto. 

Sono state almeno 690 le esecuzioni registrate globalmente nel 2018, con una diminuzione nel valore complessivo rispetto al 2017 (almeno 993). Questo dato costituisce il più basso numero di esecuzioni che Amnesty International ha registrato negli ultimi dieci anni. Il numero delle esecuzioni in Iraq e Pakistan si è  abbassato a circa un terzo dei rispettivi valori del 2017, da almeno 125 ad almeno 52 in Iraq e da almeno 60 ad almeno 14 in Pakistan. La Somalia ha dimezzato il totale delle esecuzioni, 13 nel 2018 rispetto alle 24 del 2017. Per quanto però vi siano stati riscontrati questi decrementi, l’Iran conta ancora più di un terzo di tutte le esecuzioni documentate e il 78% di tutte le sentenze capitali sono state eseguite in solo quattro paesi: Iran, Arabia Saudita, Vietnam e Iraq. Ugualmente agli anni passati, i valori totali a livello globale non includono le migliaia di esecuzioni che Amnesty International ritiene che abbiano avuto luogo in Cina, dove i dati sulla pena capitale continuano a essere classificati come segreto di stato. Il valore totale delle condanne a morte comminate a livello globale nel 2018, pari a 2.531, fa registrare un leggero decremento rispetto al valore complessivo del 2017, 2.591. Il numero dei paesi che hanno emesso condanne a morte è aumentato di uno, da 53 nel 2017 a 54 nel 2018. Sei paesi hanno comminato la pena capitale nel 2018 dopo una interruzione: Ciad, Corea del Sud, Mauritania, Oman, Papua Nuova Guinea e Uganda. Altri cinque, Brunei Darussalam, Guinea Equatoriale, Laos, Maldive e Trinidad e Tobago, che negli anni precedenti avevano comminato la pena capitale, non hanno fatto registrare alcuna condanna a morte nel 2018. Amnesty International ha rilevato un numero significativamente più elevato di condanne a morte imposte in Egitto (78%), da almeno 402 nel 2017 ad almeno 717 nel 2018. L’Iraq ha quadruplicato il suo numero di sentenze capitali, da almeno 65 nel 2017 a circa 271 nel 2018. Emirati Arabi Uniti, Ghana e Kuwait hanno quasi raddoppiato nel 2018, a confronto col 2017, le sentenze emesse di condanna a morte. Alla fine del 2018, almeno 19.336 persone erano detenute nei bracci della morte in tutto il mondo. Amnesty International ha registrato commutazioni o provvedimenti di grazia in 29 paesi. Amnesty International ha riscontrato almeno 8 proscioglimenti di detenuti condannati a morte in quattro paesi: Egitto (1+), Kuwait (3), Malawi (2) e Stati Uniti d’America (2). 

Dati importanti che incoraggiano ulteriormente alcune organizzazioni, come Sant’Egidio, ad incrementare i propri sforzi perché – come ha sostenuto Marco Impagliazzo – “la battaglia contro la pena di morte toglie di per sé stessa ogni legittimità a qualunque morte, omicidio, violenza e, soprattutto, a qualunque guerra dichiarata o non dichiarata, giustificata o non giustificata. Battersi per questo diritto alla vita sempre e in ogni caso, anche in quello del colpevole condannato da un giusto processo (facendo in modo che non sia possibile togliergli la vita quand’anche l’avesse tolta egli stesso) lancia un potente segnale contro tutte le altre violenze, morti per guerra o uccisione extra legale, in affannosa cerca di legittimazione. Il nichilismo che c’è dietro a chi si batte per togliere la vita agli altri non è contestato ma avvalorato dalla pena di morte. L’abolizione della pena di morte nei sistemi giuridici, toglie, cancella, abolisce in radice ogni tentativo giustificatorio, giuridico-legale, storico, antropologico, etnico o ideologico che sia. Si tratta quindi di un messaggio culturale di estrema importanza”. Vale la pena battersi per questa campagna mondiale e combattere contro la pena di morte è una battaglia assoluta per la vita e per tutte le vite, una contestazione radicale contro ogni morte violenta: la morte viene dichiarata sempre ingiusta, ingiustificata, ingiustificabile e – di conseguenza - assolutamente evitabile. La battaglia contro la pena di morte restituisce la voce coloro che sono stati uccisi e a tutti coloro che hanno lottato per la vita e l’hanno persa perché noi potessimo preservarla comprendendone l’assoluto valore. Infine, esiste umanità – prosegue Impagliazzo - finché c’è vita, anche poca, anche debole, anche limitata: “come rispettiamo la vita in tutte le sue forme, così dobbiamo credere anche che la vita del condannato può avere un valore. Chi siamo noi per giudicare quanta vita è rimasta e quanto vale? Una nazione che abolisce l’uso della pena capitale, è una nazione che non ha posto limiti al futuro, che dà ai propri cittadini un segnale di speranza: nulla è già scritto o è irreversibile.

Antonio Salvati

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