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Essere poveri è ancora una colpa?


Ha fatto bene giorni fa l’economista Zamagni a ridestare l’attenzione sugli attacchi feroci e gratuiti verso le reti della solidarietà e tutto a quel mondo, denominato spesso Terzo settore, che si prende cura dei più poveri. Zamagni ha usato il termine aporofobia, una parola greca che vuol dire disprezzo del povero, sottolineando che non siamo di fronte allo scontro classico tra chi sta molto bene e chi sta male. Tutt’altro, «la guerra sociale oggi è stata scatenata dai penultimi nei confronti degli ultimi, perché le élite e i ricchi non hanno nulla da temere dalle politiche redistributive di cui parlano i governi».
Giustamente sulle pagine di Avvenire Luigino Bruni, anch’esso economista, ricordava che «una delle più grandi novità morali dell’umanesimo cristiano ed europeo è l’aver liberato i poveri dalla colpa per la loro povertà. Il mondo antico ci aveva lasciato come eredità l’idea, molto radicata e diffusa, che la povertà non era altro che la maledizione divina meritata per qualche colpa commessa dalla persona o dai suoi avi. I poveri si ritrovavano così condannati due volte: dalla vita e dalla religione [...l, e i ricchi si sentivano tranquilli, giustificati e doppiamente benedetti».


E’ una storia che ha magistralmente ricostruito Vincenzo Paglia nel volume Storia della povertà. La rivoluzione dellacarità dalle radici del cristianesimo alla chiesa di Papa Francesco (Rizzoli). Un libro uscito nel 2014, poco dopo l’elezione di Papa Bergoglio tanto che Paglia osservò: «Questa tensione nuova - una sorta di scossa che sta attraversando le comunità cristiane e una moltitudine di uomini di buona volontà - mi ha spinto a riprendere in mano [...] la Storia dei poveri [...] e a rileggerlo facendo emergere con maggiore evidenza la forza rivoluzionaria che la carità ha avuto e continua ad avere nella società degli uomini [...] Ma quel che mi preme sottolineare è lo sguardo interpretativo [...]: i venti secoli di cristianesimo mostrano chiaramente che i grandi momenti di riforma della Chiesa (quando cioè la comunità cristiana ha sentito l'urgenza di riprendere la "forma evangelica" di vita) sono sempre stati segnati da un rinnovato impegno in favore dei poveri. Oggi stiamo vivendo uno di quei versanti della storia che chiedono profondi cambiamenti». Nel volume Paglia traccia il legame tra Carità e povertà: simul stabunt, simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno. La storia della Chiesa è da sempre legata a doppio filo all’incontro con i poveri. Sul “fare la carità” – spiega Paglia - si sono giocati per venti secoli l’organizzazione concreta della Chiesa e della società, l’evangelizzazione, la riforma religiosa, le utopie secolarizzate di un mondo senza sfruttati e senza sfruttatori. Viene ripercorso la storia del rapporto dinamico tra Chiesa e società attraverso la peculiare prospettiva della lotta alla povertà nelle sue diverse forme. Partendo dal cristianesimo delle origini, dal monachesimo e dai più influenti ordini religiosi, l’autore dipinge un magnifico affresco i cui protagonisti sono le figure emblematiche della cristianità e le loro opere, da Gesù ai padri della Chiesa fino a papa Giovanni XXIII con il Concilio vaticano II e la stagione di papa Francesco. In queste pagine emerge una Chiesa che rivendica con forza il valore della charitas cristiana come cura imprescindibile ai dilemmi sociali del mondo globalizzato. Perché: «è una grande funzione profetica della Chiesa quella di inquietare il banchetto del ricco epulone con la memoria e i dolori del povero Lazzaro. Nell’immaginare un mondo nuovo, o almeno diverso, la povertà è una delle soglie da attraversare con audacia, intelligenza e generosità da parte di tutti, credenti e non credenti». C’è questa cancellazione dello stigma di maledizione – ha giustamente ricordato Bruni - alla radice dei molti ospedali, scuole, orfanotrofi che hanno fondato il welfare europeo. «E mentre i politici di ieri di oggi discutevano e discutono sulle varie categorie di poveri (volontari e involontari, meritevoli e immeritevoli...), quei carismi sociali ci dicevano e ci dicono che il povero è povero è basta, ed è la sua condizione oggettiva di bisogno che ce lo rende prossimo e in quanto tale meritevole di aiuto. Il samaritano non aiuta l’uomo vittima dei briganti perché era portatore di qualche merito, ma perché era una vittima ed era un uomo ("Un uomo scendeva..."). La colpa non è mai stata una buona chiave di lettura per capire e curare le povertà, perché ogni volta che iniziano le analisi delle colpe se ne trova sempre una per condannare un debole». Senza lo sguardo diverso sulla povertà e sui poveri di centinaia e migliaia di sacerdoti, laici, suore e frati, l’Europa sarebbe stata diversa e certamente peggiore per i poveri. Questa diversa cultura europea della povertà è entrata profondamente in crisi. Sono sprofondate le ideologie che proponevano un cambiamento, direbbe Andrea Riccardi. Si sono anche spente le passioni per cambiare. Diventa abituale difendersi da un mondo troppo grande e miserabile, con troppi poveri e troppi problemi: bisogna rientrare in se stessi, nel proprio mondo, nella propria nazione, sulla difensiva. Sì, difendersi anche preventivamente! Così circola violenza: nel linguaggio delle società, nella politica e nel quotidiano con disprezzo per i poveri. Come ha detto papa Francesco negli Emirati: «in questo delicato frangente storico, [c’è] un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo». Gli ebrei parlano di Tikkun Olam, che vuol dire riparare il mondo, preso dal caos. Non è sufficiente scongiurare e fronteggiare il balletto di inizio anno sull’Ires per il non profit. Occorre mettere in moto una rivoluzione culturale. Laddove gli ambienti si lacerano, i cristiani e gli uomini di buona volontà, come si sarebbe detto una volta, riparano le solitudini e rammendano la vita con la loro presenza. E’ un lavoro paziente e quotidiano, che risana le fratture e costruisce ponti nelle solitudini, sostiene Riccardi. Per fare Tikkun Olam, gli ebrei compiono ghemilut chassadim, che significa spargere gentilezza amorevole, senza sperare di ricevere indietro. Amicizia e simpatia devono diffondersi per rifare il mondo, opera dei credenti in uscita, come dice Papa Francesco, per trovare soluzioni a misura d’uomo alla povertà, alle migrazioni, alla domanda di futuro dei più fragili.

Antonio Salvati

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