Nomadi. Sant’Egidio: c’è un’alternativa ragionevole al metodo degli sgomberi
Basta con gli sprechi dei soldi pubblici, esistono alternative ragionevoli e non discriminatorie per affrontare il problema dei campi nomadi a Roma. La Comunità di Sant’Egidio ha denunciato ieri senza mezzi termini, in un comunicato stampa, le contraddizioni del piano nomadi del Comune di Roma, a pochi giorni dalla decisione della II sezione del tribunale civile di Roma di accogliere il ricorso di due associazioni (la Asgi e la «21 aprile»), sospendendo il trasferimento dei rom nel nuovo campo autorizzato de La Barbuta.
Il caso del campo attrezzato di Tor de Cenci è un caso esemplare. Era stato il Comune di Roma nel 2000 ad attrezzarlo con i servizi essenziali, opere di fognature e prefabbricati acquistati con i soldi pubblici. Bastava non interrompere la manutenzione ed investire in progetti che portassero al superamento di una condizione considerata all’epoca “provvisoria”. Eppure il Comune, dopo 13 anni dalla realizzazione del campo attrezzato di Tor de Cenci, vuole oggi spostare tutti gli abitanti nel nuovo e discusso campo di la Barbuta, in una sistemazione, che a detta della stessa Sveva Belviso, vice sindaco del Comune di Roma, sarebbe comunque “una soluzione provvisoria”. Di provvisorio in provvisorio sono però già stati spesi svariati miliardi, 10 solo per l’ultimo campo di La Barbuta, dove forse si poteva risparmiare sulle inferriate che circondano il campo e sulle telecamere di sorveglianza che lo fanno assomigliare più ad un luogo di detenzione che ad una zona residenziale. (Inutile ricordare che “campo” in tedesco suona “lager” e che se poi oltre al suono si aggiunge anche la somiglianza esteriore, si rischia di ripetere la storia.) Ma se il tribunale ha riconosciuto come discriminatoria la decisione di trasferire gli abitanti del campo di Tor de Cenci, le associazioni sottolineano anche come una politica senza prospettiva è anche una politica di sprechi. Ad esempio le 300 persone sgombrate dal campo nomadi di Casilino 900, in attesa anch’esse da 3 anni di essere trasferite nel nuovo campo di La Barbuta, stanno costando quasi 9.000 euro al giorno. Secondo la Belviso la cifra sarebbe di 4.000 euro al giorno, che comunque, considerando i 3 anni trascorsi, sono sempre la bellezza di quasi 4 miliardi e mezzo spesi senza costruire un alternativa durevole.
Muovere continuamente i nomadi da una parte all’altra della città, sempre più lontano, sembra nei fatti l’unico “piano” che fino ad oggi è stato realizzato dal Comune di Roma, ma in questo gioco continuano a pagare sempre le famiglie costrette ad essere nomadi dalla politica comunale più che per una presunta loro scelta esistenziale. Difficile poter lavorare, andare a scuola, semplicemente vivere, quando si è costretti a spostarsi di continuo, in ghetti sempre più lontani dal lavoro e dalle scuole. Le alternative ragionevoli ci sono e molte associazioni fra cui la Caritas e la Comunità di Sant’Egidio se ne sono fatte promotrici, ma sono rimaste inascoltate. Intanto l’opinione pubblica deve sapere che i problemi non si risolvono spostandoli da un punto all’altro e cercando di allontanarli dalla vista dei cittadini, ma affrontandoli con una prospettiva, oltre la logica del provvisorio.