Filippine: drammi e speranze nelle parole dei parenti delle vittime che vivono a Roma
Sono drammatiche le testimonianze
dei filippini che vivono in Italia e che stanno ricevendo notizie tragiche sui propri familiari. Come quella di Alan e Alma, marito e moglie che vivono
a Roma e che raccontano la tragedia che il tifone Haiyan ha scaraventato addosso
alla loro famiglia. Alan, sotto la furia delle onde e del vento che hanno
investito le Filippine, ha perso almeno sette dei suoi cari: sua madre di 80
anni, cinque nipoti, figli di sua sorella che risulta dispersa e il cui marito
è morto, travolto anche lui dal tifone, nella municipalità di Basey a Samar,
fra le zone più colpite dell'arcipelago filippino. Una storia quella di Alan
che lui e sua moglie raccontano con il dolore scavato nello sguardo, ma un
sorriso appoggiato sulla bocca, come se volessero proteggere chi ascolta dalla terribile
verità della loro disgrazia. Come se non volessero aggiungere altro dolore a
quello che già li ha schiacciati, qua dall'altra parte del mondo, mentre le
vite dei loro cari sono state cancellate là , nelle Filippine, da raffiche di
oltre 300 chilometri all'ora in una terra di grande emigrazione diretta in
Italia, e a Roma in particolare, già dagli anni '70.
Santa Maria in Trastevere, dove martedì si è svolta una veglia
organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio. Alla serata ha partecipato anche
l'ambasciatrice filippina presso la Santa Sede.
Alan, che ha quattro fratelli e
due sorelle che vivono nella capitale, fa il domestico come sua moglie. Della
morte dei loro familiari nelle Filippine hanno avuto notizia da un nipote di
Manila solo alle tre di lunedì notte. Alma
e Alan hanno pregato e sono andati a cercare conforto, insieme ad altri connazionali,
nella chiesa di
Veglia di preghiera a S. Maria in Trastevere organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio |
L’anziana mamma di Alan, deceduta
nella sua casa sull’isola filippina travolta dalle onde, era tornata nel suo
Paese dopo 20 anni di vita e lavoro a Roma, anche lei come domestica in una
famiglia della capitale.
“Poi dopo la pensione – racconta
il figlio – è tornata nella sua terra perché voleva trascorrere lì i suoi
ultimi anni dopo tanto lavoro” in un Paese che l’aveva accolta, ma non era il
suo. “Mercoledì – dice Alan – una delle mie sorelle ha avvertito l’altra che stava
con mia madre a Samar per dirle di andare via da lì, dato che il tifone che
stava per arrivare sarebbe stato molto forte”. Ma l’anziana donna non ha voluto
abbandonare le sue cose. “Volevano restare lì nonostante l’allerta- racconta
Alan – perché lì hanno tutto. Non
abbiamo avuto più notizie fino alle tre della notte dell’11 novembre racconta
la moglie Alma. Ci ha chiamato il nipote di Alan che, da Manila, dopo il tifone
di venerdì, è andato nell’isola colpita dalla calamità per vedere come stavano
i nostri familiari e la mamma di mio marito. E invece, una volta giunto a
Samar, ha trovato tutti morti: mia suocera, il cognato di Alan che aveva cinque
figli, i nostri nipoti, morti anche loro, mentre la loro madre, sorella di
Alan, risulta dispersa.
Anche se alcuni dicono che è
viva, altri la danno per deceduta. Stavano tutti insieme in una casa che è
stata spazzata via”. Vivevano sulla riva del mare che ha trasformato la
violenza del tifone in forza distruttrice. ”Mia sorella Arneil, di cui non
sappiamo piu nulla e per cui temiamo il peggio – spiega Alan – aveva un sogno,
voleva fare un hotel sulla spiaggia. E mia mamma è tornata lì perché c’è la
natura, l’aria fresca, il bel tempo, l’aria salubre. Volevamo aprire questo
piccolo albergo con i risparmi di famiglia. Era tutto quasi pronto per la
costruzione del nostro hotel a conduzione familiare sulla spiaggia e per
realizzarlo mia sorella aveva comprato il terreno”. A Tacoblan, cittÃ
annientata dal tifone, vicino all’aeroporto stanno altri fratelli e sorelle di
Alan “ma – dice l’uomo – di loro non abbiamo ancora notizie. “Nelle zone più
colpite – spiega Alma – il 90% degli abitanti sono morti e gli altri sono
feriti. Le strade sono bloccate e solo a piedi certe località si possono
raggiungere. Chi cerca i propri cari deve farlo senza mezzi. E quelli che sono
sopravvissuti spesso si ammazzano per un bicchiere d’acqua, per un po’ di riso,
per un biscotto”. Alma e Alan nelle Filippine hanno ancora dei familiari da
cercare, una speranza da tenere accesa. La voglia di partire fa a botte con la
paura di imbattersi ancora in un nuovo strazio. “Dobbiamo ancora decidere cosa
fare – ammettono spauriti e disorientati – il tempo di ragionare qualche ora e
domani si vedrà ”.
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