Mandela, vincendo se stesso ha sconfitto l’apartheid e cambiato la storia
Con Mandela scompare un grande della storia, qualcuno che ha visto il futuro, di più, che ha saputo costruirlo. Non diceva del resto: “Sembra sempre impossibile finché non ci si prova”?
Ma se Madiba ha saputo trasformare un paese, e la storia di fine Novecento, è stato perché prima aveva saputo cambiare se stesso. Sì, si diviene capaci di cambiare il mondo intorno se si è in grado di compiere quel salto difficile, quel compito arduo, che è lavorare su di sé.
Lo ricorda in un bell’articolo pubblicato sul “Mail and Guardian” Desmond Tutu, già vescovo anglicano di Città del Capo e anch’egli premio Nobel per la Pace (1984, nove anni prima dello stesso Mandela).
Scrive Tutu: “Qualcuno ha detto che i 27 anni che Mandela ha trascorso in prigione sono stati uno spreco, che se fosse stato rilasciato prima avrebbe avuto più tempo per tessere il suo incantesimo di perdono e riconciliazione. Mi permetto di dissentire. Quando Mandela entrò in carcere era un giovane uomo arrabbiato, esasperato da quella parodia di giustizia che era stato il processo di Rivonia. Non era un pacificatore. Dopo tutto era stato comandante dell’Umkhonto we Sizwe [l’ala militare dell’African National Congress] e il suo intento era rovesciare l’apartheid con la forza. Quei 27 anni furono cruciali per il suo sviluppo spirituale. La sofferenza fu il crogiolo che rimosse una gran quantità di scorie, regalandogli empatia verso i suoi avversari. Contribuì a nobilitarlo, permeandolo di una magnanimità che difficilmente avrebbe ottenuto in altro modo. Gli diede un’autorità e una credibilità che altrimenti avrebbe faticato a conquistare”.
Il Sudafrica, l’Africa, il mondo, piangono Nelson Mandela. Ai funerali che si svolgeranno il 15 dicembre nella piccola città natale di Qunu è prevista una folla oceanica e il 10 a Johannesburg la presenza di leader da tutto il mondo.
Quel giorno e nei decenni a venire ricorderemo l’uomo che ha saputo sconfiggere prima se
stesso, poi il grande male dell’apartheid, e infine ogni desiderio di vendetta o di rivalsa. Colui che davvero è stato quell’“Invictus” di cui parla il poeta vittoriano William Henley nella poesia che il leader sudafricano meditava nella prigione di Robben Island e che ha ispirato lo splendido film dedicato da Clint Eastwood proprio a Madiba: “It matters not how strait the gate, / how charged with punishments the scroll, / I am the master of my fate: / I am the captain of my soul” (Non importa quanto stretto sia il passaggio, / quanto pieno di ostacoli il libro della vita, / io sono il padrone del mio destino; / il capitano della mia anima).
Francesco De Palma
Nessun commento
Posta un commento