Da Giovanni XXIII a Francesco: ebrei e cristiani in dialogo
“Da Giovanni XXIII a Francesco: ebrei e cristiani in dialogo”. È questo il tema del convegno svoltosi oggi a Roma, presso la sede della Comunità di Sant’Egidio, non a caso il giorno dopo la canonizzazione dei due papi, come sottolineato dal presidente della Comunità Marco Impagliazzo all'apertura dei lavori: “Questo incontro avviene all’indomani della canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Due Papi che hanno svolto un ruolo decisivo per l’avvicinamento tra ebrei e cristiani”. La loro opera, grazie alla tessitura di rapporti di amicizia personale, rappresenta “un grande patrimonio che dobbiamo ancora sfruttare e che costituisce una sfida per noi, chiamati ad essere non solo dei semplici amministratori della loro eredità, bensì interpreti creativi di uno spirito che ci porta a riconoscerci fratelli”.
Andrea Riccardi, ripercorrendo nel suo intervento i rapporti di san Giovanni Paolo II con gli ebrei, ha sottolineato come si sia trattato di un rapporto al tempo stesso fatto di “carnalità”, spiritualità ed intelligenza e che “è stato qualcosa di straordinario. Non è stata solo una posizione intellettuale, ma un fatto che coinvolgeva la sua esistenza”. Ripercorrendo soprattutto gli anni giovanili del futuro papa, in una Polonia percorsa da un forte antisemitismo, ma anche da un interessante filone culturale filosemita, Riccardi ha ricordato come “Gli ebrei per Karol sono compagni di scuola, amici, perseguitati, credenti e dall’amicizia, elabora una lettura spirituale. C’è in lui un rispetto profondo per la fede ebraica” tanto da arrivare a citare il rabbino Elio Toaff nel suo testamento. Queste personalità del mondo cattolico evidenziano come “ebraismo e cristianesimo hanno bisogno l’uno dell’altro e sono pertanto dipendenti tra loro”. Nella storia di Wojtyła si coglie chiaramente come fosse estraneo alle correnti antisemite e anzi sentisse il legame con gli ebrei come vitale, per le amicizie personali che lo fecero partecipare in modo diretto alla terribile sofferenza patita dal popolo ebraico durante il nazismo e nei progrom del dopoguerra.
Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, nel ripercorre i 50 anni dalla pubblicazione della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”, ha detto che ancora oggi ebrei e cristiani si trovano davanti “a un enorme macigno storico difficile da scalfire che va preso a picconate”. “C’è ancora - ha aggiunto il rabbino - una montagna di durezze che vanno smontate. Ecco perché è importante fare memoria di personalità come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II perché figli del loro tempo sono riusciti a navigare tra le difficoltà indicando ancora oggi che i problemi si risolvono con il rapporto tra le persone che si riconoscono fratelli in umanità”.
Il cardinale Walter Kasper, che per anni ha guidato la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo, non ha potuto partecipare, ma è stata letta la sua relazione in cui il cardinale ha sottolineato: “Un vero ecumenismo senza Israele non è possibile”. “La Chiesa deve trarre il suo vigore e la sua forza dalle radici d’Israele. Se i rami sono tagliati dalla radice, appassiscono, si indeboliscono e possono anche morire. Tagliando per secoli se stessa dalle sue radici ebraiche, la Chiesa si è indebolita e questa debolezza divenne evidente nella fiacca resistenza che ebbe contro la persecuzione degli ebrei. Ma è vero anche il contrario. Senza i rami, la radice non porta frutto. I rami danno alla radice vitalità e fertilità”. Gli Ebrei e i cristiani sono quindi legati tra loro dalla comune responsabilità di dare testimonianza di Dio e dei dieci comandamenti e sono quindi una risorsa per la nostra società moderna sulle vie d’impegno comune in difesa e promozione della dignità umana, della giustizia e della pace nel mondo, del valore della famiglia e dell’integrità della creazione. Anche nel difficile processo di pace in Medio Oriente, “possono testimoniare che la riconciliazione è possibile”.
Il dialogo non basta, “il monologo è una persona che parla a se stesso, il dialogo due persone che parlano a se stesse”, con questa battuta il rabbino David Rosen, ha sottolineato come sia necessario nel dialogo quello spirito di amicizia che era proprio di Giovanni Paolo II e che lo ha colpito in molti incontri vissuti insieme alla Comunità di Sant’Egidio. “Siamo agli inizi del dialogo - ha concluso - ci sono tante ferite da guarire, c’è bisogno di molto amore e abbiamo bisogno di esplorare e vederci gli uni gli altri come strumenti della volontà divina”.
Nella sezione pomeridiana è intervenuto il cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, Oded Wiener, direttore generale del Gran Rabbinato d'Israele, Marco Roncalli, presidente della fondazione ''Papa Giovanni XXIII'', Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e Abraham Skorka, rabbino di Buenos Aries, noto per l'amicizia con papa Francesco.
Al termine del convegno, i partecipanti hanno indirizzato un "messaggio di saluto e di augurio al rabbino Elio Toaff" alla vigilia dei suoi 99 anni. "Il rabbino Toaff è una figura importante nel dialogo fra ebrei e cattolici: fu lui infatti a ricevere il 13 ottobre 1986 papa Giovanni Paolo II in visita nel Tempio Maggiore di Roma, un incontro che nel corso del convegno di oggi è stato più volte ricordato come una tappa fondamentale del dialogo fra cristiani ed ebrei".
Andrea Riccardi, ripercorrendo nel suo intervento i rapporti di san Giovanni Paolo II con gli ebrei, ha sottolineato come si sia trattato di un rapporto al tempo stesso fatto di “carnalità”, spiritualità ed intelligenza e che “è stato qualcosa di straordinario. Non è stata solo una posizione intellettuale, ma un fatto che coinvolgeva la sua esistenza”. Ripercorrendo soprattutto gli anni giovanili del futuro papa, in una Polonia percorsa da un forte antisemitismo, ma anche da un interessante filone culturale filosemita, Riccardi ha ricordato come “Gli ebrei per Karol sono compagni di scuola, amici, perseguitati, credenti e dall’amicizia, elabora una lettura spirituale. C’è in lui un rispetto profondo per la fede ebraica” tanto da arrivare a citare il rabbino Elio Toaff nel suo testamento. Queste personalità del mondo cattolico evidenziano come “ebraismo e cristianesimo hanno bisogno l’uno dell’altro e sono pertanto dipendenti tra loro”. Nella storia di Wojtyła si coglie chiaramente come fosse estraneo alle correnti antisemite e anzi sentisse il legame con gli ebrei come vitale, per le amicizie personali che lo fecero partecipare in modo diretto alla terribile sofferenza patita dal popolo ebraico durante il nazismo e nei progrom del dopoguerra.
Il rabbino capo di Roma, Riccardo di Segni, nel ripercorre i 50 anni dalla pubblicazione della Dichiarazione conciliare “Nostra Aetate”, ha detto che ancora oggi ebrei e cristiani si trovano davanti “a un enorme macigno storico difficile da scalfire che va preso a picconate”. “C’è ancora - ha aggiunto il rabbino - una montagna di durezze che vanno smontate. Ecco perché è importante fare memoria di personalità come Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II perché figli del loro tempo sono riusciti a navigare tra le difficoltà indicando ancora oggi che i problemi si risolvono con il rapporto tra le persone che si riconoscono fratelli in umanità”.
Il cardinale Walter Kasper, che per anni ha guidato la Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo, non ha potuto partecipare, ma è stata letta la sua relazione in cui il cardinale ha sottolineato: “Un vero ecumenismo senza Israele non è possibile”. “La Chiesa deve trarre il suo vigore e la sua forza dalle radici d’Israele. Se i rami sono tagliati dalla radice, appassiscono, si indeboliscono e possono anche morire. Tagliando per secoli se stessa dalle sue radici ebraiche, la Chiesa si è indebolita e questa debolezza divenne evidente nella fiacca resistenza che ebbe contro la persecuzione degli ebrei. Ma è vero anche il contrario. Senza i rami, la radice non porta frutto. I rami danno alla radice vitalità e fertilità”. Gli Ebrei e i cristiani sono quindi legati tra loro dalla comune responsabilità di dare testimonianza di Dio e dei dieci comandamenti e sono quindi una risorsa per la nostra società moderna sulle vie d’impegno comune in difesa e promozione della dignità umana, della giustizia e della pace nel mondo, del valore della famiglia e dell’integrità della creazione. Anche nel difficile processo di pace in Medio Oriente, “possono testimoniare che la riconciliazione è possibile”.
Il dialogo non basta, “il monologo è una persona che parla a se stesso, il dialogo due persone che parlano a se stesse”, con questa battuta il rabbino David Rosen, ha sottolineato come sia necessario nel dialogo quello spirito di amicizia che era proprio di Giovanni Paolo II e che lo ha colpito in molti incontri vissuti insieme alla Comunità di Sant’Egidio. “Siamo agli inizi del dialogo - ha concluso - ci sono tante ferite da guarire, c’è bisogno di molto amore e abbiamo bisogno di esplorare e vederci gli uni gli altri come strumenti della volontà divina”.
Nella sezione pomeridiana è intervenuto il cardinale Kurt Koch, presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l'Ebraismo, Oded Wiener, direttore generale del Gran Rabbinato d'Israele, Marco Roncalli, presidente della fondazione ''Papa Giovanni XXIII'', Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone e Abraham Skorka, rabbino di Buenos Aries, noto per l'amicizia con papa Francesco.
Al termine del convegno, i partecipanti hanno indirizzato un "messaggio di saluto e di augurio al rabbino Elio Toaff" alla vigilia dei suoi 99 anni. "Il rabbino Toaff è una figura importante nel dialogo fra ebrei e cattolici: fu lui infatti a ricevere il 13 ottobre 1986 papa Giovanni Paolo II in visita nel Tempio Maggiore di Roma, un incontro che nel corso del convegno di oggi è stato più volte ricordato come una tappa fondamentale del dialogo fra cristiani ed ebrei".
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