Una visione di futuro per il continente più vecchio nel discorso del papa a Strasburgo
Martedì scorso papa Francesco è stato a Strasburgo, si è rivolto al Parlamento Europeo e, per suo tramite, a 500 milioni di cittadini. Per ricordare loro che il “mondo [è] più complesso, fortemente in movimento, sempre meno ‘eurocentrico’”, mentre “l’Europa [appare] invecchiata, stanca, meno vivace e protagonista”. Per far loro prendere coscienza di una “malattia, che vedo diffusa oggi in Europa, la solitudine, propria di chi è privo di legami. La si vede particolarmente negli anziani, spesso abbandonati al loro destino, come pure nei giovani privi di punti di riferimento e di opportunità per il futuro; nei numerosi poveri che
popolano le nostre città; negli occhi smarriti dei migranti che sono venuti qui in cerca di un futuro migliore”.
Eppure Bergoglio ha voluto rivolgere al Vecchio Continente “un messaggio di speranza e di incoraggiamento”. Perché, ha detto il pontefice, la chiamata dell’Europa è quella di “prender[s]i cura della fragilità, della fragilità dei popoli e delle persone. [Il che] significa farsi carico del presente nella sua situazione più marginale e angosciante ed essere capaci di ungerlo di dignità”. “E’ giunta l’ora di costruire insieme [un]’Europa che ruot[i] non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su se stessa per suscitare e promuovere [un]’Europa prezioso punto di riferimento per tutta l'umanità!”.
Molti dei commentatori che si sono espressi sui quotidiani del continente il giorno dopo la visita di Francesco a Strasburgo hanno inteso sottolineare proprio questo messaggio positivo, lo sguardo fiducioso e prospettico del vecchio papa venuto “quasi dalla fine del mondo” su quell’area del pianeta che è stata per tanti secoli il centro della storia dell’uomo.
Così Henri Tincq ha evidenziato che, se è pur vero che “il sogno federale si è ampiamente esaurito”, e che “il sogno di Giovanni Paolo II di un'Europa riunificata attorno alla sua identità cristiana è anch'esso in gran parte fallito”, è oggi tempo di un nuovo sogno, quello di “un'Europa che sia qualcosa di più di una provincia del capitalismo mondiale. Un'Europa sociale e solidale, rispettosa dell'ambiente, capace di accogliere le migliaia di persone che fuggono dalla loro patria e vanno a cercare, a Londra, a Parigi o a Milano, lavoro, un po' di libertà e una vita migliore. Un'Europa dello spirito contro l'Europa del mercato. Una gran bella scommessa”, ha concluso l’opinionista francese.
A sua volta Mauro Magatti, in un bell’intervento sul “Corriere della Sera”, partendo dalla constatazione che “l’Unione Europea è un grande progetto, ma c’è qualcosa che non
funziona”, ha creduto di scorgere questo “qualcosa”, sulla scia del discorso di Bergoglio, nella “chiusura dell’Io su se stesso. Un Io isolato, privatizzato, ripiegato sulla contingenza, non può che finire per essere dominato da apparati impersonali e autoreferenziali che arrivano a calpestare la dignità umana”. “Francesco [ha] indica[to] al Vecchio Continente”, ha proseguito Magatti, “la prossima tappa del suo cammino secolare. Dopo il tempo della sovranità (individuale e statuale) viene il tempo della relazionalità. È lavorando su questa idea che l’Europa può riaccendere quella speranza che sembra oggi mancare”.
Sul futuro di un’Europa pur vecchia e stanca, pur “nonna”, si è infine soffermato Andrea Tornielli. Sì, l’Europa è “un'unione di popoli che sembra aver smarrito la sua identità, [che è] incapace di parlare con una voce sola, di essere ancora un faro di civiltà, di intervenire fattivamente e concretamente” lì dove ce ne sarebbe bisogno. Eppure, proprio i limiti dell’Europa rivelano la sua importanza, il suo possibile destino: “l'Europa non è più al centro del mondo”, ha concluso l’articolista de “La Stampa”, “ma nel mondo oggi come non mai c'è bisogno di Europa. Ieri a ricordarcelo è stato un Papa nato in Argentina”.
Francesco De Palma
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