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Selma, o l’emozione della non violenza

Sugli schermi italiani è appena apparso un film emozionante. E’ “Selma”, della regista afroamericana Ava DuVernay, che ha scelto un episodio, non minore, ma meno noto, della lotta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti, per farne il centro della ricostruzione filmica della figura di Martin Luther King. 50 anni fa, infatti, l’appena laureato Nobel per la Pace
scelse quella piccola località in Alabama per manifestare pacificamente contro gli impedimenti opposti ai cittadini di colore nell’esercizio del loro diritto di voto.
Il film non emoziona per l’ampiezza dello scenario. Le camere da presa non hanno inquadrato la marcia su Washington, quella di “I have a dream”, bensì un borgo tranquillo e sonnacchioso, e il clou della drammaticità si registra al ponte “Edmund Pettus”, non certo il più famoso dei ponti. Lo stesso Martin Luther King non è posto su un piedistallo, non è narrato agiograficamente, ma se ne offre un ritratto complesso e sfaccettato che ci restituisce la sua umanità, comprensiva di dubbi, errori tattici e sconfitte, senza per questo sminuirne la grandezza politica ed etica.
E però il film della DuVernay seduce agendo su un altro livello, raccontandoci di come la
Storia si possa fare non solo da Washington, bensì pure da una cittadina che ha oggi 20000 abitanti, meno di centri come Pomezia, Guidonia, Rieti (per restare vicino Roma …). Dicendoci che il mondo si può cambiare anche se non sei perfetto, anche se hai qualcosa da rimproverarti. Ricordando a tutti noi, destabilizzati dalle immagini di violenza che si rincorrono per il pianeta, che appena 50 anni fa qualcuno operava una rivoluzione sedendosi per terra, marciando, toccando le coscienze, rifiutandosi di sacrificare al dio dell’odio e della vendetta. 

Francesco De Palma

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