I 50 anni dalla morte di Albert Schweitzer, l'attualità e l'urgenza dell'umanitarismo
Ricorre in questi giorni (4 settembre) il cinquantenario della morte di Albert Schweitzer, l’umanista, il medico, il teologo, l’organista, premio Nobel per la Pace nel 1952, che fondò un ospedale nella foresta equatoriale, a Lambaréné, oggi Gabon.
Nato nel 1875 a Kaysersberg, Alsazia, allora Germania, oggi Francia, impiantatosi in Africa ad inizio Novecento, uomo che ha vissuto le terribili lacerazioni nazionalistiche e le grandi visioni umanitarie e solidaristiche del secolo scorso, Schweitzer è una figura che può insegnare moltissimo a un tempo, il nostro, tentato dall’erezione di nuovi muri e inaridito dalla fine dei sogni. L’europeo finito nell’estrema periferia della jungla africana parla ancora al mondo, perché esso recuperi la centralità di quei valori e di quella umanità che può salvarlo, fermandone l’imbarbarimento.
Alla cerimonia di consegna del premio Nobel per la Pace affermava: “Animati dall’umanitarismo siamo fedeli a noi stessi e capaci di creazioni nuove. Animati dallo spirito contrario ci siamo infedeli, e in preda a tutti gli errori”. [Ma ho] la certezza che lo spirito è capace, in questa nostra epoca, di dare vita ad una nuova mentalità, ad una mentalità etica”.
Una creazione nuova, ecco ciò di cui l’Europa, ma tutto il pianeta, hanno oggi bisogno. Un soprassalto etico, una nuova disponibilità a uno spirito di apertura e di condivisione.
Sempre a Oslo, nel 1952, Schweitzer diceva: “Nel 1950 è stato pubblicato un libro dal titolo ‘Testimonianze d’umanità’, edito da accademici dell’università di Goettingen, che riportava quanto avvenuto in seguito alla tragica espulsione in massa dei tedeschi dall’attuale Polonia nel 1945. Dei rifugiati vi raccontavano, in modo semplice e toccante, quale aiuto essi avevano ricevuto in quei frangenti difficili da parte di uomini di cui pure erano stati nemici, e che dunque avrebbero potuto guardarli con odio. Raramente sono stato così preso da un libro. Sarebbe capace di restituire la fede nell’umanità in coloro che l’hanno perduta”.
Anche noi, guardando a ciò che vivono i migranti, i transitanti, i profughi che raggiungono in questi mesi l’Europa, ringraziamo quegli uomini e quelle donne che, con la loro accoglienza, con le loro testimonianze, con il loro spirito restituiscono a tenti la fede nell’umanità.
Francesco De Palma
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