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La morte di dj Fabo e il dibattito sul fine vita: chiariamo qualche confusione

La morte per suicidio assistito del Dj Fabo ha certo avuto grande eco sui media, conquistando l'attenzione dell'opinione pubblica e suscitando numerosi commenti. Una storia seguita da tempo dagli organi di informazione e il cui esito è stato in qualche modo annunciato, così che l’eco della notizia è stato ancora maggiore. Del resto era dichiarata l’intenzione, da parte di chi ha sostenuto e accompagnato in questa scelta il Dj Fabo, di accendere i riflettori sulla vicenda per farne un nuovo “caso” emblematico da poter associare ad una stessa battaglia, insieme ad altri che si sono succeduti nella storia recente e altri che verranno. Storie diverse che rischiano però in questo modo di essere appiattite e confuse.

Se la storia del Dj Fabo chiede rispetto e vicinanza al dolore e alla sofferenza da lui vissuta e da chi gli è stato accanto, credo che parimenti non meriti di essere lasciata ad una comprensione semplificata o peggio ad essere usata in modo strumentale o politico. Il rischio c’è, in una società in cui le opinioni si formano e consolidano facilmente su impressioni emozionali suscitate dall’impatto mediatico e meno sulla riflessione e approfondimento delle notizie o meglio delle storie che le notizie, soprattutto se lette distrattamente, solo in parte riescono a rendere nella loro complessità.  

Diffidando dalle comprensioni semplificate, credo valga la pena analizzare un momento l’impatto mediatico che questa vicenda ha avuto, perché mi sembra esprima un aspetto paradossale, che a ben vedere dovrebbe sorprenderci. Vediamo perché. Ci troviamo di fronte ad un caso di suicidio. Il suicidio di un giovane uomo di 40 anni che ha scelto di togliersi la vita per porre fine alla sua sofferenza. Anche se ha ricevuto assistenza per portare a compimento l’intenzione suicida, sempre di suicidio si tratta, non molto diverso nelle cause scatenanti da quelle di altri suicidi, non diversa la sofferenza che è stata vissuta e a portato a tale scelta. Dobbiamo anche ammettere che non è possibile provare, anche in un caso considerato "limite" come questo, che la sofferenza fosse più o meno grande di quella di altri casi, anche di quelli avvenuti in modo apparentemente inaspettato. Se per la cronaca quindi siamo di fronte ad un drammatico caso di suicidio, simile purtroppo a tanti altri, seppur particolare per le modalità in cui è stato attuato, dobbiamo però notare che in questo caso l'effetto mediatico è inconsueto. Se infatti di fronte altri suicidi, soprattutto di persone giovani, si registra abitualmente una reazione emozionale che sottende un certo rammarico per non aver potuto prevenire e fermare il gesto estremo, nel caso odierno l’effetto è tutt’altro che unanime, e al rammarico di alcuni si contrappongono in altri emozioni addirittura opposte, ovvero il ribadire il diritto all'autodeterminazione, negato da altri e soprattutto dallo Stato, cui viene rimproverato anche una certa forma di cinismo per non aver permesso che questo avvenisse in Italia. In altre parole c’è una stessa parte di persone che di fronte ad alcuni suicidi  rimprovera alla società e allo Stato di non aver fatto abbastanza per prevenire e impedire il gesto disperato, mentre di fronte ad altri casi, considerati "estremi", rimprovera esattamente l'opposto.  

Sottolineo il paradosso perchè mi sembra riveli quale confusione può essere indotta nell’opinione pubblica da certe scorciatoie mediatiche che puntano a casi eclatanti al fine di creare un consenso emozionale da sfruttare politicamente. Per questo concordo con quanto affermato da Mario Marazziti, Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, che da molti mesi sta discutendo la legge sulla Dichiarazione Anticipata di Trattamento, sul consenso informato e sulla pianificazione condivisa delle cure : "La sua è una storia di dolore che merita silenzio e rispetto, un fallimento sempre quando una vita finisce così. E non va utilizzata politicamente in alcun modo, anche perché non si possono fare leggi sulla base di casi estremi

Dopo la morte del Dj Fabo si sono infatti alzate molte voci per chiedere che anche in Italia venga fatta una legge che permetta il suicidio assistito. Un dibattito che si incrocia con il testo sul fine vita, discusso appunto dalla Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati, che però non ha nulla a che vedere con l'eutanasia del consenziente, bensì tra le altre cose con i complessi temi della nutrizione e idratazione artificiali e con le Dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT).


La clinica Dignitas in Svizzera
Infatti, come ha sottolineato lo stesso Presidente della Commissione Affari Sociali “anche se tale legge fosse stata già approvata, il caso-limite di Dj Fabo non avrebbe trovato soluzione. Perché, per quanto drammatica fosse la sua situazione, di suicidio si tratta, o di omicidio di persona consenziente, qualunque ne sia la ragione. E non di qualcosa che può essere disciplinato dalla sanità pubblica italiana”. 
  
A cosa punta allora la legge il cui testo approderà nei prossimi giorni alla camera ? Ce lo spiega sempre Marazziti: “Una legge che punta ad accompagnare con dignità al momento conclusivo della vita, a togliere la sofferenza, a evitare l’accanimento terapeutico, ma anche l’abbandono terapeutico, e penso ai tanti anziani da sostenere, da non lasciare soli. E così anche le famiglie. Perché le persone vanno sostenute e accompagnate anche nell’indebolimento e nella cronicità, non vanno abbandonate”.
C’è da chiedersi allora come possa intervenire una legge di fronte a sofferenze estreme e soprattutto al dolore. Secondo Marazziti “è molto difficile stabilire per legge la soglia in base alla quale è legittimo chiedere di morire o di non morire, qual è il grado di sofferenza che rende la vita intollerabile perché  dipende dalla cultura, dalla vita, dagli affetti, dalla religione, dagli amici, dagli incontri che si fanno. Ma anche dal dolore. E quindi c’è prima di tutto un dovere: eliminare il dolore e qui entra in campo la medicina palliativa, la sedazione profonda.”

Infine, tornando all’esposizione mediatica del caso, cui in queste ore se ne stanno aggiungendo altri, devo notare come in più titoli e articoli si insiste nel sottolineare la serenità con cui tale passo estremo è stato compiuto, il clima scherzoso, quasi fosse un momento felice di liberazione dal male. Sinceramente la vicenda invece mi lascia triste e mi sembra che pubblicizzare la morte come in uno spot che promette felicità, sia una grave sconfitta.
Come ha notato mons Paglia,  presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in una intervista a Radio Vaticana: “La vicenda di dj Fabo è molto triste ed è anche una grande sconfitta per lui, nel senso che, purtroppo, avrà sentito di non farcela, e una sconfitta per la società che non ha saputo rispondere. Nella profondità dell’animo di Fabo c’era come una grande domanda di amore, di senso della vita, se valga la pena vivere anche in situazioni difficili. Purtroppo la società intera non ha saputo rispondere. Ed è questo che deve suscitare in noi una riflessione urgente. ...L’amore, l’intelligenza appassionata deve arrivare prima che si giunga a giudizi così drammatici e a decisioni altrettanto drammatiche.

Marco Peroni

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