Espulsioni

Mi colpisce sempre quando qualcuno viene ancora sbeffeggiato - o peggio - per il colore della propria pelle, che in fondo è - tra i tanti aspetti variabili della vita - uno di quelli che non possiamo scegliere, anche se si manifesta per primo e con evidenza agli occhi degli altri.
Non è purtroppo una novità: l'ottimo Mauro Valeri - studioso del fenomeno e di cui ho già apprezzato il libro dedicato alla vicenda umana e sportiva di Leone Jacovacci - dedicò alcuni anni fa un preoccupato e documentato volume (Che razza di tifo. Dieci anni di razzismo nel calcio italiano) all'argomento, che resta - evidentemente - ancora di grande attualità.
Questa volta, Muntari sembra averle provate tutte. Ha dapprima tentato - amichevolmente - di rabbonire la curva; ha poi chiesto - inutilmente - l'intervento dell'arbitro Minelli, che lo ha invece ammonito per proteste. Cosicché, seccato ed amareggiato, ha infine abbandonato il campo. Risultato: una giornata di squalifica.

Mi ha però impressionato un particolare nel comportamento di Muntari, che pure è uomo dal carattere impulsivo. È accaduto durante la partita, molto prima dell'epilogo, alla fine del primo tempo. Accortosi che tra quanti lo dileggiavano c'era anche un bambino, a ciò "incitato" dalla sua famiglia, l'atleta si è avvicinato alla curva, si è presentato al piccolo, ha provato a spiegare che trattare così un calciatore nero è sbagliato; infine, gli ha regalato la sua maglia.
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Muntari e l'arbitro Minelli |
Ma il contegno - apparentemente inutile - di Muntari (e specialmente quel tentativo di "umanizzazione" compiuto all'indirizzo dei suoi denigratori) vale, secondo me, almeno quanto molti discorsi.
Paolo Sassi
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