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I migranti per ripopolare le nostre campagne abbandonate


Diversi indicatori attestano il consolidamento della crescita dei consumi alimentari degli italiani nel corso del 2017. Ugualmente molti articoli – specialmente durante il periodo estivo – hanno denunciato gli innumerevoli casi di caporalato registrati nelle campagne pugliesi, dove numerosi migranti venivano sottoposti a condizioni lavorative schiavistiche. Dopo decenni di caporalato, una legislazione adeguata è arrivata solo lo scorso anno (Legge 29 ottobre 2016, n.199). La legge ha iniziato a produrre degli effetti. Eppure, nonostante gli arresti degli ultimi mesi, la realtà stenta a mutare.
Il tema dei migranti occupati in agricoltura è dunque salito prepotentemente alla ribalta. E, grazie a Dio, non solo per denunciare casi di caporalato.  Infatti, una ricerca presentata recentemente - condotta da Laura Fossati, antropologa sociale e produttrice casearia, e dall'agronomo Michele Nori dell'Istituto Universitario Europeo di Firenze – contiene numeri impressionanti, se è vero che il 70% dei pastori ufficialmente salariati in Piemonte arriva dall'estero ed è in maggioranza romeno e albanese. La cura delle pregiate vigne del Barolo è affidata ai macedoni. In Emilia, i lavoratori Sikh contribuiscono per il 60% alla produzione del Parmigiano Reggiano. Gli esempi potrebbero continuare quasi all'infinito, tra culture importate da terre lontane e neofiti agricoli veloci nell'apprendimento. Come quello di una ragazza nigeriana  diventata una delle più brave produttrici di robiola di pura capra camosciata e quello di un gruppo di ragazzi indiani che governa con amore le bufale a cui si devono le superbe mozzarelle casertane.
Giustamente è stato osservato che il lavoro degli immigrati mantiene vive le nostre campagne. Fossati e Nori ci ricordano come i migranti di oggi siano ampiamente assimilabili - per ruolo e incidenza - a quelli che nel dopoguerra salvarono la nostra agricoltura. A cambiare, la provenienza. I contadini che stanno ridisegnando il panorama sociale delle nostre campagne arrivano dall'Europa più debole, dall'Africa e dal subcontinente indiano, a differenza di quelli di settant'anni fa (soprattutto sardi e veneti), mentre i piemontesi emigravano dalle poverissime Langhe per governare gli armenti delle pianure francesi.
Il mestiere dei campi è pesante, "la terra è bassa", recita un proverbio contadino. I guadagni sono scarsi, accanto a prospettive future assai incerte. In tal senso, i migranti sono perfetti per ripopolare le campagne abbandonate: hanno un bisogno disperato di lavorare, non hanno nulla da perdere, si accontentano di poco, a volte quasi niente, come i pastori migranti che si mangiano la vita in Calabria per cinquecento euro al mese. Ha detto acutamente Carlo Petrini, che di cibo e di agricoltura se ne intende: "mi piacerebbe che un giorno, con calma e raziocinio, potessimo essere tutti più fraternamente uniti su questi temi, indipendentemente dalla pelle, dalla religione, dalla politica, e proprio a partire dal cibo".


Antonio Salvati

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