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La stoffa dei Sogni


In una Sardegna onirica ed ancestrale, scenario ideale per un moderno dramma Shakespeariano trasposto e calato negli accenti napoletani e nello stile della Commedia dell’Arte, di Eduardo De Filippo, Gianfranco Cabiddu allestisce questa “drammatica” commedia, semplice e compatta come un atto unico, ed unica anche per echi letterari e per respiro poetico.
L’esordio avvince, chiara citazione della Tempesta di Shakespeare, col naufragio in un mare furioso ed epico della nave che soccombe ed affonda; sopravvive solo un gruppetto di camorristi detenuti, due guardie ed una piccola compagnia teatrale sopra una terra di insolito fascino ed arcaiche inquietudini..
Il talento di Sergio Rubini, nel ruolo di Oreste Campese, capocomico, ha il corpo agile e flessuoso dell’attore e l’espressività facciale che cerca di ricalcare quella indimenticabile di Eduardo De Filippo.. conducendoci per mano attraverso i vari temi ed ogni sfumatura di questo affresco cineteatrale.
Emerge, fra gli altri, il tema della libertà, che basterebbe la meravigliosa fotografia a rappresentare: laddove, ad esempio, il filo spinato del carcere si staglia preciso fra mari cristallini, verde brillante e cieli limpidi dell’Asinara, di una bellezza quasi provocatoria per chi non può afferrarla, da recluso, o goderne appieno, ostaggio, come Miranda, di un eccesso di protezione ..
E quest’ultimo tema si allaccia a quello della prigionia come risvolto di una condizione amorosa: il superbo Ennio Fantastichini, nel ruolo del Direttore del carcere,  De Caro, commette l’errore di voler tenere reclusa in casa sua figlia adolescente Miranda (omonima, non per caso, della Miranda della Tempesta), errore che il Direttore ha invero già commesso con la madre di Miranda (errore dunque recidivo, ovvero affetto da circolarità, come il perimetro di un’isola)..
Rimangono impressi, ed impressionanti, gli scenari di questa isola-carcere vista con occhi particolari e a noi restituita nei caratteri di una luce enigmatica, sfuggente e devastante. L’enormemente bello si intreccia allo spaventoso, il monstrum è, come dal suo etimo latino, prodigio che incanta e atterrisce, per deformità, o difformità dalla norma. Pertanto si fa centrale la domanda del capocomico Oreste al Direttore De Caro (“Cosa temete? Se già l’isola è una prigione in sé..”) che puntella quei concetti di bellezza smisurata, di mitologie antiche, di naufragi, odissee, ... e tutto il variegato immaginario che abbiamo nella nostra mappa genetica e culturale mediterranea, e che mette alla prova la resistenza, ai naufragi, della stoffa dei nostri sogni. Stoffa decomponibile, e tanto più attraente, in quanto si compone di mascheramenti, evasioni, ardimenti, di speranze e di perdoni.

Silvia Chessa

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